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ANIMALI NEGLI ALLEVAMENTI: E' VERA PROTEZIONE?
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Articolo di Annapaola Laldi
15 ottobre 2001 0:00
 

(Il Decreto legislativo 146/2001) Quando, nella primavera scorsa, fu emanato il Decreto Legislativo 146/2001 sugli animali da allevamento, la stampa lo saluto' con articoli favorevoli, in cui si osservava che, finalmente, le anatre e le oche sarebbero state affrancate dalla tortura dell'ingozzamento forzato per la produzione del pate' de foie gras, e gli animali da pelliccia liberati dalla detenzione nelle anguste gabbie degli odierni allevamenti.
All'epoca si era ancora partecipi della tensione causata dal caso della mucca pazza, a cui si era aggiunto il problema dell'afta epizootica, con relative soppressioni di massa degli animali documentate da fotografie di forte impatto emotivo, tanto che anche un settimanale di solito poco incline ai titoli eclatanti come il tedesco "Die Zeit", poteva scrivere a caratteri cubitali: "Apocalypse cow".
Da allora, sono passati (appena? ormai?) sei mesi, e, con la complicita' dell'estate, il timore di mangiare carne infetta sembra essersi -anche se a torto- dissolto. E, con esso, anche quel minimo di attenzione alle condizioni di vita degli animali da allevamento, che si era accesa durante l'emergenza "mucca pazza", e che aveva aperto qualche spiraglio alla scoperta di una cosa che ha nome compassione.
Certo, dall'11 settembre, l'emozione e la paura hanno trovato altri schermi su cui proiettarsi. Adesso, la minaccia alla nostra incolumita' e sopravvivenza personale appare ben piu' tangibile e immediata di quella dovuta alle malattie trasmesse dagli animali, e, naturalmente, grande puo' essere la tentazione di considerare superfluo parlare del benessere degli animali.
Poiche', invece, sono convinta che l'intreccio della vita sulla nostra unica terra sia cosi' profondo da non poterci permettere alcun tipo di separazione, ne' di cultura, ne' di specie, eccomi qui a sollecitare di nuovo l'attenzione sulle condizioni di vita di quegli animali di cui spesso usiamo e abusiamo con eccessiva disinvoltura.
Come gia' accennato, mi riferisco al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n.146 dal titolo "Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti" (pubblicato su G.U. n. 95 del 24 aprile 2001), che si occupa di tutti gli animali da allevamento, ferme restando le disposizioni particolari per le galline ovaiole, i suini e i vitelli per i quali vi sono appositi decreti. E' opportuno ricordare anche che il trasporto di tutti gli animali e' regolato da un decreto particolare.

Dopo aver puntualizzato che per "animale", in questo decreto, si intende "qualsiasi animale, inclusi pesci, rettili e anfibi, allevato o custodito per la produzione di derrate alimentari, lana, pelli, pellicce o per altri scopi agricoli" (art.1 comma 2), il testo si smarrisce in alcune affermazioni generiche. Cosa significa, infatti, con precisione, che "gli animali sono custoditi da un NUMERO SUFFICIENTE di addetti aventi ADEGUATE capacita', conoscenze e competenze professionali" (punto 1 dell'allegato)?
Chi e come stabilisce il "numero sufficiente" degli addetti e la loro adeguatezza al compito assegnato? Come e dove si formeranno addetti capaci?
Tanto piu' che il decreto non prevede alcun obbligo per gli Enti pubblici di organizzare corsi di qualificazione professionale, ma si limita a dare questa facolta' con una dizione piuttosto contraddittoria. Dice, infatti, il comma 2 dell'art.2 che "PER FAVORIRE una migliore conoscenza degli animali domestici da allevamento, ENTRO UN ANNO dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, le Regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, POSSONO ORGANIZZARE PERIODICAMENTE (.....) CORSI DI QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE CON FREQUENZA OBBLIGATORIA PER GLI OPERATORI DEL SETTORE, ALLO SCOPO DI FAVORIRE la piu' ampia conoscenza in materia di etologia animale applicata, fisiologia, zootecnia e giurisprudenza".
Qui c'e' qualcosa di strano. A parte la ripetizione della proposizione finale all'inizio e alla fine del periodo ("per favorire..... allo scopo di favorire...."), una lettura attenta del testo suscita alcuni interrogativi.
In primo luogo, la liberta' delle istituzioni locali di svolgere o meno questi corsi. E' grave che non sia sancito l'obbligo di una formazione professionale garantita e controllata -come lo e' quella richiesta, ormai, per quasi tutti i servizi, anche i piu' elementari. Qui, oltretutto, si ha a che fare con esseri senzienti, che lo stesso decreto impone di trattare rispettandone le esigenze fisiologiche ed etologiche ed evitando loro sofferenze. E, in piu', il testo ritiene necessaria la conoscenza di materie veramente complesse, su cui non vi puo' essere improvvisazione ne' acquisizione con la sola pratica.
In secondo luogo, si nota una strana dizione (volendo, proprio una CONTRA(D)-DIZIONE), la' dove il testo afferma che le Regioni ENTRO UN ANNO (dall'entrata in vigore del decreto) possono ORGANIZZARE PERIODICAMENTE i corsi. La dizione "ENTRO UN ANNO", infatti, farebbe pensare che si tratta di un SOLO corso da organizzare entro il primo anno di validita' della normativa; insomma, qualcosa della serie "ora, o mai piu'". Invece, subito dopo, si parla di "ORGANIZZARE PERIODICAMENTE" tali corsi, il che fa supporre -piu' giustamente, del resto-
il ripetersi nel tempo di essi.
Un'ultima osservazione e' necessaria sui destinatari di questi corsi. Non e' chiaro se "GLI OPERATORI DEL SETTORE", di cui si parla, siano persone gia' impiegate, oppure anche altre che aspirano a questo tipo di lavoro. Logica vorrebbe che si trattasse della seconda ipotesi, anche per favorire il ricambio del personale; del resto si parla di CORSI DI QUALIFICAZIONE (quindi anche per chi deve imparare tutto), e non di riqualificazione o di aggiornamento (per chi gia' sa qualcosa, almeno per la pratica fatta sul campo). Pero', a rendere incerta questa interpretazione, vi e' un articolo determinativo di troppo, quando si parla di "corsi di qualificazione professionale per GLI operatori del settore", perche' quel "GLI" sembra mirare al gruppo gia' esistente degli addetti ai lavori e basta. Non sembri peregrina questa osservazione; e' su imprecisioni di tal fatta che si accendono le dispute e si paralizzano le iniziative. Si faranno questi corsi? Dove si faranno? Per chi si faranno? Qui il decreto propone solo punti interrogativi, e nessun punto fermo.

Per tornare agli animali, ancora genericita' al comma 1/a dell'art.2, dove si afferma che chi si occupa degli animali deve "adottare misure adeguate a garantire il benessere degli animali e affinche' non vengano loro provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili". Vano e' cercare qualcosa che precisi quel "misure adeguate", a parte le esplicite proibizioni che vedremo fra poco.
Anche nell'allegato, che negli altri decreti analoghi, conteneva informazioni piu' concrete e specifiche, ci si scontra con la stessa genericita'. Ad esempio, al punto 10, dove si dice che "la circolazione dell'aria, la quantita' di polvere, la temperatura, l'umidita' relativa dell'aria e le concentrazioni di gas DEVONO ESSERE MANTENUTE ENTRO LIMITI NON DANNOSI per gli animali". Oppure il punto 14, dove si stabilisce che "agli animali deve essere fornita un'ALIMENTAZIONE SANA ADATTA ALLA LORO ETA' E SPECIE...", senza che vi sia una tabella orientativa.
Non solo, un'altra vera e propria contraddizione salta agli occhi al punto 11, che recita: "Gli animali custoditi nei fabbricati NON DEVONO ESSERE TENUTI COSTANTEMENTE AL BUIO O ESPOSTI A ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE senza un adeguato periodo di riposo". Fin qui va tutto bene. E' riconosciuto il diritto/necessita' dell'animale a godersi un po' di luce del sole. Ma, attenzione, subito dopo il testo continua: "SE LA LUCE NATURALE DISPONIBILE E' INSUFFICIENTE a soddisfare esigenze comportamentali e fisiologiche degli animali, OCCORRE PREVEDERE UN'ADEGUATA ILLUMINAZIONE ARTIFICALE". No comment.

Le uniche cose chiare e univoche sono i divieti contenuti nel punto 19 dell'allegato:

1. e' proibita la bruciatura dei tendini e il taglio di ali per i volatili e di code per i bovini, se non a fini terapeutici certificati;
2. la cauterizzazione dell'abbozzo corneale e' ammessa al di sotto delle tre settimane di vita;
3. il taglio del becco deve essere effettuato nei primi giorni di vita con il solo uso di apparecchiature che riducano al minimo le sofferenze degli animali;
4. la castrazione e' consentita per mantenere la qualita' dei prodotti a condizione che l'operazione sia effettuata prima del raggiungimento della maturita' sessuale da personale qualificato, riducendo al minimo ogni sofferenza per gli animali;
5. dal 1° gennaio 2004 e' proibito l'uso dell'alimentazione forzata per anatre e oche e la spiumatura di volatili vivi (nel frattempo tali pratiche devono essere effettuate sotto controllo del medico veterinario dell'azienda).
Queste erano limitazioni pretese e attese da tempo da chi pone attenzione al benessere degli animali; semmai qui il punto e' quanto esse saranno fatte valere nella realta', sia nei grandi allevamenti, per la grande quantita' di animali da controllare, sia in quelli piu' piccoli, perche' essi possono anche restare sconosciuti.

Ai "procedimenti di allevamento" sono dedicati gli ultimi tre punti (20, 21 e 22) dell'allegato, ma chi si aspettasse qualche lume in piu' resterebbe deluso (a parte alcune disposizioni per i visoni).
Intanto, una nuova vaghezza si riscontra al punto 21, la' dove si afferma che "Nessun animale deve essere custodito in un allevamento se non e' ragionevole attendersi, in base al suo genotipo o fenotipo, che cio' possa avvenire senza effetti negativi sulla sua salute o sul suo benessere". La sequenza di tutte queste negazioni sembra fatta apposta per confondere le idee.
Quali sono gli animali incompatibili con la vita di allevamento? Tutti, verrebbe da dire, date le condizioni in cui sono fatti vivere. Ma questa risposta, dal punto di vista della legge, sarebbe errata, perche' una discriminante si ravvisa nella domesticita' degli animali. Buoi, mucche, capre, cavalli sono abituati da secoli a vivere in cattivita', mentre, ad esempio, gli animali selvatici da pelliccia no, perche' sono soli pochi decenni che queste specie conoscono le limitazioni imposte dagli umani. Perche', pero', il legislatore non ha specificato i criteri da seguire per individuare tali animali incompatibili? Forse perche', in tal caso, si sarebbero dovuti chiudere subito gli allevamenti di animali selvatici da pelliccia? Ma, adesso, chi si assumera' la responsabilita' di operare la distinzione fra animali compatibili all'allevamento e incompatibili?

L'ultimo punto dell'allegato (22) si riferisce proprio agli animali allevati "con il solo e principale scopo di macellarli per il valore della loro pelliccia", ma restringe l'interesse ai visoni, per dettare le misure minime delle loro gabbie.
Pero': non vengono allevate per la pelliccia anche le volpi, che notoriamente sono piu' grosse? E perche' di esse non si parla? Puo' darsi che in Italia ci siano solo allevamenti di visoni, d'accordo, ma se in questi mesi venisse a qualcuno la voglia di aprire un allevamento di volpi o di altri animali da pelliccia di taglia maggiore del visone, quali vincoli avrebbe rispetto alla dimensione delle gabbie?
Comunque il decreto parla esplicitamente solo dei visoni, prescrivendo 2550 centimetri quadrati (escluso il nido) per ogni animale adulto, o per una madre coi cuccioli, o per due animali giovani dopo lo svezzamento. L'altezza della gabbia non deve essere inferiore ai 45 cm; la larghezza non inferiore a cm. 30 e la lunghezza a cm. 70.
Sono le misure minime, ma e' facile pensare che nessun allevatore andra' oltre di esse.
Anche queste misure non sono imposte da subito a tutti gli allevamenti; devono adeguarvisi entro il 31 dicembre 2001 solo quelli che hanno gabbie con superfici inferiori a 1600 cmq e altezza inferiore a 35 cm. Chi si trova in posizione intermedia fra queste misure e quelle previste dal decreto di cui ci stiamo occupando potra' mettersi in regola entro il 31 dicembre 2005.
Solo per il 1° gennaio 2008 la normativa prevede la liberazione totale degli animali da pelliccia, che dovranno essere allevati "a terra in recinti opportunamente costruiti e arricchiti, capaci di soddisfare il benessere degli animali. Tali recinti devono contenere appositi elementi quali rami dove gli animali possano arrampicarsi, oggetti manipolabili, almeno una tana per ciascun animale presente nel recinto....".
A questo proposito, gli animalisti italiani cantano una grande vittoria, e prevedono la chiusura degli allevamenti italiani, perche', dicono, gli allevatori non riusciranno ad adeguare a norma di legge gli stabilimenti.
Ma, intanto (forse per consentire l'eventuale riciclaggio dell'attivita'?), si e' spostato al 2008 l'adeguamento definitivo degli allevamenti alla nuova normativa. Pero', se il modo di vita attuale e' fonte di sofferenze per questi animali e non e' conforme alle loro esigenze fisiologiche ed etologiche, perche' continuare ancora cosi' per altri sei anni?
No, c'e' qualcosa che non mi torna, in questo decreto. E non solo nella sintassi.
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