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Brexit. Timothy Garton Ash: “La nostra ossessione per la sovranità è assurda“
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Articolo di Redazione
29 maggio 2017 9:07
 
 Timothy Garton Ash è stato un acceso avversario della Brexit. Ciononostante non si arriva alla catastrofe, al tracollo, dice. In futuro l’Europa deve essere forte e flessibile. Timothy Garton Ash è un saggista e giornalista britannico, professore di Studi Europei presso l'Università di Oxford.

Che cosa resta ai britannici, che non vogliono lasciare l’Europa, quel 48 percento che era contro la Brexit? A loro restano le acute analisi e commenti dello storico del presente Timothy Garton Ash. Egli si definisce un europeo inglese; nei suoi editoriali sul britannico “Guardian” o nella “New York Review of Books”, egli parla a favore della Gran Bretagna liberale. “E’ come la salute”, osserva Ash sulla UE, “la si apprezza solo quando l’abbiamo perduta”.
Adesso la sua patria britannica si separa dall’Unione Europea e l’inglese europeo Ash ha ricevuto dall’Unione Europea il Premio Carlo Magno per la sua opera. Negli anni Settanta Ash era arrivato, da dottorando, nella Berlino divisa, e fu allora che cominciò a scrivere sulla spaccatura dell’Europa in Est e Ovest. I suoi libri sono letti ovunque nel mondo.
Ash mi ha invitato a colloquio in una silenziosa villa neogotica in mattoni a Oxford. E’ il “Centro per gli studi europei” del St Anthony’s College, in cui dirige il programma Dahrendorf per lo studio della libertà. Ralf Dahrendorf, il grande liberale tedesco, fu per dieci anni rettore del St. Anthony’s College. Adesso Ash è il grande liberale inglese. La collaboratrice di Ash, che si occupa della politica sanitaria nell’Europa dell’Est, mi porta su, per consunti gradini di legno, nella Senior Common Room che si trova al primo piano.

La più grande sconfitta politica
Ash è un uomo fine, elegante e di una intensità contenuta. Dietro la barba rossa brizzolata, accuratamente rifilata, egli lascia intuire a tratti un lieve sorriso. Gli occhi castano chiari anticipano i suoi pensieri con piccoli lampi.
Ash chiede se vogliamo parlare tedesco o inglese e poi decide: tedesco. Parla in modo spigliato e quasi senza accento. Una sola volta chiede la parola precisa, di cui si ricorda il suono, e [quindi, avuta la giusta indicazione] può affermare che a proposito dell’Europa quello che manca è l’ampiezza del pensiero.
Quest’uomo di sessantuno anni si è battuto appassionatamente perché la Gran Bretagna non rinunci al suo posto nell’UE. Il fatto che i suoi connazionali abbiano deciso in modo diverso lui lo ha definito la più grande sconfitta politica.

Restare il più vicino possibile al continente
Nella conversazione tuttavia egli evita ogni traccia di rassegnazione. No, dice, i filoeuropei non hanno fallito. Semplicemente non hanno vinto. Le cose sarebbero potute andare in modo completamente diverso. Se il partito laburista avesse avuto un capo migliore. O se Boris Johnson non fosse passato dalla parte della Brexit. O anche se gli altri Stati europei fossero andati più incontro a David Cameron.
E ora? Il Paese dopo il referendum, che lo ha diviso in due tra uscire e restare, torna davvero a crescere come afferma la Premier Theresa May? A questo punto, Ash, di solito prudente e controllato, sbuffa alquanto. “Che cosa? Ah , sciocchezze!”, grida. “Non è vero niente. Proprio il contrario! Il Paese viene diviso da questo tema”. Ma fa molta attenzione che la ragione abbia il sopravvento. Non è quel remoaner [piagnone del restare], come i filobrexit chiamano con disprezzo i loro avversari, coloro che deplorano in modo sentimentale l’uscita della Gran Bretagna dalla UE.
L’amore di Ash per l’Europa è governato da una limpida ragione. Ora, osserva, si tratta di raggiungere ciò che in gergo si chiama Brexit morbida, dice: “Dobbiamo adoperarci per restare il più vicini possibile al continente”.

L’Europa deve essere forte e flessibile
Ash rigetta il cliché dell’inglese, che è incapace quanto restio a capire l’Europa. “E’ una assurda semplificazione. L’Europa e la storia europea sono impensabili senza l’Inghilterra”. E’ vero soltanto che gli inglesi – ma non gli scozzesi, non gli irlandesi del nord e solo limitatamente i gallesi – hanno avuto un rapporto particolare con l’Unione Europea: “Noi non abbiamo fatto l’esperienza dei traumi dell’occupazione, della sconfitta, della dittatura”. Inoltre, egli osserva, c’è la storia della Riforma inglese, che fondò una propria chiesa di Stato contro l’onnipotenza del papa: “La nostra ossessione per la sovranità risale al XVI secolo. Oggi gioca un ruolo incredibilmente grande. Un ruolo assurdo”.
E’ questa ossessione ad aver provocato irritazione tra il governo di Theresa May e la Commissione europea ancor prima dell’inizio vero e proprio delle trattative. Bruxelles pretende che Londra riconosca la competenza della Corte di giustizia europea per assicurare i diritti dei cittadini UE che vivono in Gran Bretagna. Per la premier May è una cosa sospetta; vi vede l’ingerenza di una istituzione non britannica negli affari britannici.

Lo sguardo chiaro dei britannici
Ma May rappresenta soltanto una delle metà del Paese. Che cosa lega il 48 percento degli inglesi filoeuropei oggi con l’Europa? “L’apertura”, dice Ash. “L’internazionalismo, la cooperazione. Non vogliamo essere provinciali”. E, sì, anche il liberalismo.
L’Europa, osserva Ash, ha ignorato questo lato della Gran Bretagna. Un errore. E aggiunge “Qui poi torna in continuazione l’idea che i britannici non volessero, anzi, che una zona di libero scambio”. Si sarebbe, invece, dovuta ascoltare molto prima la critica britannica. “E’ vero, essa era in parte provinciale e insulare, ma in parte anche molto fondata”.
Ciò che ora viene discusso in Germania e in Francia, continua Ash, era stato tracciato in anticipo da due decenni in Gran Bretagna: per esempio, la questione della legittimazione democratica delle istituzioni europee. Friedrich Nietzsche, dice Ash, aveva messo in guardia dai pericoli delle grandi vittorie. “L’Europa è stata talmente una storia di successi che ci ha accecato”. Ash enumera: l’allargamento a est, l’euro, che è stato un successo per molto tempo, la pace durata decenni – se si prescinde dalle guerre nei Balcani. “Il mondo guarirà se all’Europa si ispirerà”. L’europeo Ash condanna la presunzione europea con tagliente ironia. I critici britannici, dice, hanno dimostrato talvolta di avere uno sguardo più chiaro.

Berlino, il nuovo centro
Adesso, osserva Ash, l’ebbrezza della vittoria è passata – con la crisi dell’euro e la crescita dei partiti di estrema destra antieuropei in molti Stati membri. Con l’uscita della Gran Bretagna il centro intellettuale si sposta inoltre sul continente. “Crescerà l’importanza intellettuale di Berlino”, afferma Ash. E se ne rallegra. Perché finora, prosegue, la discussione intellettuale sull’Europa in Germania è stata fatta in modo troppo angusto. Ora verranno a Berlino più fabbriche di pensiero, più persone interessanti e più discussioni. E da tutto ciò nasceranno nuove idee.
Per esempio, sul tema dell’eurozona e della Grecia. “La Germania con Wolfgang Schäuble è stata troppo rigida”, dice Ash. “Non si deve chiedere soltanto: che cosa è giusto moralmente e giuridicamente? - ma anche: che cosa funziona? Bisogna essere pragmatici. Io mi auguro più pragmatismo e realismo”.
E più audacia. Quando si tratta del futuro dell’Europa, gli schemi mentali sono d’intralcio: “L’Europa delle due velocità, il nucleo europeo, l’approfondimento dell’eurozona – sarebbe un peccato se rimanessimo in tali angusti confini”. Per esempio, il nucleo europeo dovrebbe restare incondizionatamente l’eurozona? Un’Europa, a cui appartengono Grecia, Italia e Portogallo, ma non Svezia e Polonia? “O è possibile immaginarsi qualcosa di diverso”, si chiede Ash, “per esempio, un paio di grandi cerchi, che si intersecano, e il nucleo si forma là dove i cerchi si intersecano”. Un cerchio, ad esempio, potrebbe formarlo l’Europa degli accordi di Schengen, un altro l’Europa della politica comune per gli affari esteri e la sicurezza. “Io mi immagino un’Europa che sia allo stesso tempo forte e flessibile”, dice Ash. “Forte, perché flessibile. E flessibile, perché forte”. Ma questa è una cosa che non ha ancora elaborato con precisione e sulla quale deve continuare a riflettere.
E, sì, egli si considera europeo anche in futuro: “Io parteciperò a questa discussione con tutto me stesso e in modo attivo”. Il Consiglio europeo per le relazioni internazionali (ECFR), la fabbrica di pensiero, nel cui consiglio direttivo egli siede, ha appena trasferito una parte delle sue attività a Berlino. Ciò contribuisce a una discussione che si fa più aperta, dice Ash: “Io credo che si concentrerà tutto lì a Berlino. E’ una cosa molto positiva”.
Ash si alza, è diventato impaziente. Il suo tempo è ripartito con disciplina. A me resta ancora una domanda, e cioè se la Gran Bretagna un giorno possa rientrare nell’Unione Europea. “Spero di vivere tanto a lungo”, risponde Ash. “Sul momento c’è una convinzione troppo forte dalla parte della Brexit. E le conseguenze negative non saranno abbastanza drammatiche. Non si arriverà alla catastrofe, non si arriverà al tracollo”. Tuttavia la Gran Bretagna, tra 15, 20 anni, potrebbe cercare una nuova adesione. “Ma allora sarà una Unione Europea diversa”.

(articolo di Imke Henkel, pubblicato sul settimanale Die Zeit del 25/05/2017)
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