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Cambio climatico. Cosa accade ai mari
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Articolo di Redazione
27 febbraio 2017 12:39
 
  Il cambio climatico sta modificando le condizioni di vita di tutti i mari del Pianeta. La temperatura delle acque di superficie sta aumentando, il fitoplancton, base di tutta la catena, sta diminuendo e le correnti marine stanno cambiando. Sommati, tutti i fattori stanno gia’ avendo un impatto sulle specie marine. Uno studio ha identificato le sei grandi aree del Pianeta che dovrebbero essere salvaguardate se si vuole che la vita marina continui ad esser tale.
Ricercatori australiani, neozelandesi e spagnoli hanno utilizzato i dati di una serie di satelliti raccolti negli ultimi 30 anni per sapere cosa sta causando il cambiamento climatico ai mari del Pianeta. Ed hanno trovato una soluzione geografica che non era mai stata individuata fino ad ora. La fisica di base dice che le condizioni in un liquido medio tendono ad essere uguali in tutte le parti, nella immensita’ degli oceani le cose non stanno cosi’. Per questo, il riscaldamento globale non e’ lo stesso in tutte le acque e non e’ solo questione di latitudine.
“Nella colonna d’acqua, la piu’ calda, meno densa, e’ sulla superficie, mentre quella piu’ fredda va verso il basso”, spiega l’ecologo della Estación Biológica de Doñana del CSIC e principale autore dello studio, Francisco Ramirez. “Il risaldamento dell’ocenao colpisce in particolare le acque di superficie”, dice. E’ in questo strato sottile di acqua dove la vita del mare comincia. E’ qui dove si produce il miracolo, l’incontro tra la luce e l’acqua di cui necessita la clorofilla del fitoplancton marino per realizzare la fotosintesi. Quella verde sostiene l’intera catena alimentare, da cui il kril per le balene, passando per gli albatros e gli squali.
Lo studio, pubblicato su Science Advances mostra due tendenze contrapposte. Da una parte, il riscaldamento delle acque di superficie non ha smesso di crescere fin dagli anni 80 del secolo scorso. Dall’altra, la concentrazione di clorofilla per metro cubo non ha da allora smesso di calare. Lo studio ha individuato una terza variabile: le correnti marine, responsabili di distribuire il calore per tutto il Pianeta e, in collegamento coi movimenti atmosferici, anche il clima meteorologico. Per cui c’e’ una grande eterogeneita’, in generale questi fiumi marini stanno calando.
Combinando questi tre grandi fenomeni e le sue concrete manifestazioni in ogni zona, i ricercatori hanno potuto individuare l’impatto del cambio climatico a scala regionale e anche locale. Cosi’ le regioni polari sono quelle che stanno soffrendo un maggiore aumento di temperatura delle proprie acque. E questo c’entra anche col disgelo delle acque dolci. Nel caso dell’emisfero nord, questo sta trasferendosi sul gioco delle correnti marine. Cosi’ come nell’Artico nord e nella frangia nord del Pacifico, si sta manifestando un riscaldamento il cui impatto sulla biodiversita’ marina e’ ancora da stabilire.
"Nelle regioni vicine all’Equatore, in particolare nel Pacifico, la velocita’ della corrente oceanica si sta riducendo”, commenta Ramirez. I ricercatori sostengono che non sono ancora in grado di determinare l’impatto di questi cambi sulla vita marina. “Ci saranno alcune specie che ne perderanno e altre che ne guadagneranno”. La somma complessiva degli impatti potrebbe provocare quella che viene chiamata omogeneizzazione della vita. Le specie piu specifiche, o dipendenti dalle condizioni locali, potrebbero soccombere davanti alla maggiore capacita’ di adattamento delle piu’ generaliste.
Partendo da questa situazione, i ricercatori identificano sei grande aree marine che, per la loro ricchezza di vita, sarebbero da salvaguardare per assicurare un minimo di biodiversita’. Per questo hanno usato dati di altre indagini con la distribuzione globale di 1.729 specie di pesci, 124 specie di mammiferi marini e 330 specie di pollame.
Lo studio separa la regione marina del Pacifico orientale di fronte alle coste di Peru’ e nella zona delle Galapagos. In America vengono anche segnalate le coste dell’Argentina e le acque intorno alle isole Falkland (Malvinas). In Africa, la regione alimentata dalla corrente del Bengala, e nell’Atlantico sudafricano e, nell’oceano Indiano, di fronte al Madagascar. Altre regioni da proteggere sono quelle bagnate dai mari della Cina e delle Filippine, nel sud-est asiatico. Una quinta, che va dal sud dell’Australia fino all’oriente del continente, al largo della grande barriera corallina. La sesta regione e’ localizzata nel Pacifico centrale e bagna le isole della Polinesia.
“Il problema e’ che, in generale, l’impatto del cambio climatico si sta manifestando in modo piu’ intenso in queste zone”, dice Ramirez. E ci sono anche altri problemi di origine umana: considerata la loro grande ricchezza biologica, queste regioni sono quelle che attraggono maggiormente l’industria della pesca. Due di esse, per esempio, sono in quelle conosciute come zone esclusive economiche di Cina, Indonesia e Peru’, le tre principali potenze peschiere, secondo la FAO. E nelle altre, come l’area del sud dell’Africa, ci vanno imbarcazioni di altre potenze piu’ lontane, come la Spagna.

(articolo di Miguel Angel Criado, pubblicato sul quotidiano El Pais del 27/02/2017)
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