testata ADUC
Ergastolo ostativo: il vero 'fine pena mai'
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Adriano Saldarelli
20 luglio 2016 13:04
 
Se qualcuno di voi crede che in Italia l’ergastolo non esista e che “dopo un po’ di anni escono tutti”, si sbaglia di grosso. E’ il caso dei condannati al c.d. “ergastolo ostativo”, che altro non è che la pena perpetua che viene comminata a chi si è macchiato di delitti particolarmente gravi, previsti dal famigerato art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario (da non confondersi con l’ancor più famigerato 41bis), relativi, per la gran parte, a fatti di criminalità organizzata e terrorismo. L’unico modo che questi condannati hanno per uscire dal carcere è la collaborazione con lo Stato, a meno che essa non sia impossibile od inesigibile.
L’occasione di affrontare la questione ci è data dalla recente pubblicazione del bel libro Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo (prefazione di G. Silvestri, appendice di D. Galliani- Giappichelli, Torino, 2016), scritto a quattro mani da Andrea Pugiotto, docente di diritto costituzionale e Carmelo Musumeci, ergastolano, che ripropone all’attenzione di tutti il paradosso di un Stato di diritto che nega i suoi stessi fondamenti costituzionali. Ne abbiamo avuto una recente dimostrazione col trattamento riservato a Bernardo Provenzano, al quale è stato prorogato dal Ministro della Giustizia il regime del carcere duro previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, nonostante le condizioni di palese infermità, che lo rendevano praticamente un vegetale.
Le ragioni di questo interesse ce le fornisce lo stesso autore (Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo - Dalle pagine di un libro a Palazzo della Consulta di Andrea Pugiotto in www.penalecontemporaneo.it):
La mia risposta affonda nei fondamentali del costituzionalismo liberale, laddove si insegna che la Costituzione ammette la forza (di cui lo Stato ha il legale monopolio) ma nega la violenza, ovunque la dignità dell’uomo subisca la mortificazione dell’assoggettamento fisico all’altrui potere. Ecco perché, quando la pena (minacciata dal legislatore, irrogata dal giudice, eseguita dalla polizia penitenziaria sotto il controllo della magistratura di sorveglianza) travalica il confine che separa la forza dalla violenza, è la legalità costituzionale ad essere violata, cioè violentata. È allora che il costituzionalista, che crede nel diritto come violenza domata, deve dire la sua. Ecco perché cerco di usare quel che so, e quel che so fare, per evitare che lo Stato potente diventi prepotente rendendo impotente la Costituzione dietro le sbarre. Il volto costituzionale della pena guarda (cioè riguarda) tutti, anche Caino, perché la persona non è mai tutta e soltanto nel suo errore: nessun individuo «è uguale a quell’io che era venti o trent’anni fa, e perciò è ragionevole che il nostro giudizio sia diverso a seconda che si appunti su quella o su questa figura. […] Ciò che oggi sembra indegno di qualsiasi atteggiamento benevolo, può diventarne creditore dopo molto tempo e moltissimo patire». Distinguere l’errore dall’errante è sforzo cui dovremmo applicarci sempre, se non altro per una forma di altruismo interessato, perché nella vita tutti facciamo esperienza dell’errore (e molti dell’orrore). E nessuno ne uscirebbe bene se fosse ricordato esclusivamente per la cosa peggiore che ha fatto”.
Perché - come ricorda Gaetano Silvestri, nella sua eloquente prefazione al volume – “la dignità umana, come non si acquista per meriti, non si perde per demeriti”.
Nel libro, dopo una prima, drammatica, parte dedicata alla giornata tipo dell’ergastolano scritta da Carmelo Musumeci, vengono spiegate le ragioni giuridiche dell’incostituzionalità del regime del carcere perpetuo, undici capitoli, “uno per ogni criticità costituzionale”.
Sino ad oggi i nostri giudici, di merito e costituzionali, hanno “salvato” questa norma - così come le altre norme, purtroppo numerose ancora oggi, che instaurano nel nostro ordinamento discipline di “doppio binario”– perché secondo loro l’ergastolo ostativo non è de jure una pena perpetua, ma soltanto de facto, essendo ciò imputabile all’ergastolano che preferisce la morte dietro le sbarre a una collaborazione esigibile. E tuttavia questa impostazione si scontra con numerosi precetti costituzionali e convenzionali (Convenzione Europea per i diritti dell’uomo in primis) perché – diversamente da quanto avviene per la pena detentiva “a termine” – finisce col rendere ammissibile nel nostro ordinamento una pena che esclude definitivamente il condannato dal circuito rieducativo e rende irrilevante ogni progressione nel c.d. “trattamento inframurario”, finendo con l’equivalere, come pena fino alla morte, alla pena di morte, in violazione dell’art. 27 comma 4 cost., essendo entrambe “privazione di vita, perché cancellazione di futuro, azzeramento di ogni speranza, amputazione dal consorzio umano”.
Basteranno i titoli degli argomenti richiamati, che l’autore ha condensato in una sorta di vademecum rivolto agli operatori del diritto con lo scopo di veder finalmente rimuovere la preclusione del beneficio della liberazione condizionale all’ergastolano ostativo ed ironicamente intitolato “Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo” (pubblicato in www.penalecontemporaneo.it), per capire le tante ragioni per il superamento dell’ergastolo ostativo:
  • incostituzionale perché pena perpetua (in violazione dell’art. 27 comma 3, Cost.);
  • incostituzionale perché pena perpetua non riducibile (in violazione dell’art. 117 comma 1, Cost. integrato dall’art. 3 CEDU);
  • incostituzionale perché pena fissa che rende irrilevante il percorso rieducativo del reo (in violazione dell’art. 27 comma 3, Cost.);
  • incostituzionale perché pena conseguente a illegittimo automatismo normativo (in violazione degli artt. 2, 3 comma 1, 19, 21 e 27 commi 1 e 3, Cost.);
  • incostituzionale per irragionevolezza dell’equivalenza tra collaborazione e ravvedimento (in violazione degli artt. 3 comma 1, 27 comma 1, Cost.);
  • incostituzionale per violazione del diritto alla difesa (art. 24 Cost.);
  • incostituzionale perché pena fino alla morte (in violazione dell’art. 27 comma 4, Cost.);
  • incostituzionale perché trattamento equivalente alla tortura (in violazione degli artt. 10 comma 1, 13 comma 4, 117 comma 1, Cost.).
Speriamo vivamente che i Tribunali di Sorveglianza facciano tesoro di queste preziosi indicazioni e che, prima o poi, nell’inerzia del legislatore, la Corte Costituzionale metta davvero la parola fine al “fine pena mai”.
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS