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Morire di caldo. A rischio il 36% della popolazione mondiale
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Articolo di Redazione
20 giugno 2017 10:28
 
  Nel momento in cui c’e’ un grosso allerta per le ondate di calore in corso, uno studio fa il punto sul rischio di “morire di caldo” in senso proprio. Pubblicato lo scorso 19 giugno nella rivista Nature Climat Change, questo studio conclude che questo pericolo colpisce oggi circa un individuo su tre nel mondo. Una proporzione che potrebbe crescere a tre su quattro verso la fine del secolo, se le emissioni di gas ad effetto serra continueranno con il loro attuale ritmo. Per fare la diagnostica, un’équipe americo-britannica di diciotto ricercatori, la maggior parte dei quali lavorano all’Universita’ delle Hawaii, ha analizzato la letteratura scientifica documentando i casi di mortalita’ supplementari associati ad ondate di calore, tra il 1980 e il 2014. Questa diagnostica ne ha identificati 783, osservati in 164 citta’ di 36 Paesi. Tra questi ci sono la canicola dell’estate 2003, che aveva provocato 70.000 morti in piu’ in Europa, di cui 20.000 in Francia, e circa 5.000 a Parigi, quella del 2010, a cui sono imputati 55.000 decessi in piu’ in Russia, di cui circa 11.000 a Mosca, o quella che aveva colpito Chicago a luglio del 1995, responsabile di piu’ di 700 morti. Gli autori hanno poi incrociato questi dati coi parametri climatici registrati a margine di questi episodi: temperatura dell’aria, relativo tasso di umidita’, potenza del sole, forza del vento.. E ne hanno dedotto che il fattore determinante, potendo alterare la capacita’ di termoregolazione dell’organismo umano e provocare uno stato di ipotermia, era l’accoppiata temperatura-umidita’, dove quest’ultima rafforza la percezione del calore. Essi hanno quindi calcolato un livello a partire dal quale l’associazione di queste condizioni ambientali puo’ divenire fatale. I ricercatori non sostengono evidentemente che il superamento di questa soglia conduce ineluttabilmente alla morte, ma semplicemente che essa espone ad un “colpo di caldo” potenzialmente mortale. Differenti parametri possono in effetti essere messi in opera per evitare una tale estremizzazione, che vanno dalle apparecchiature individuali nel sistema di condizionamento d'aria ai provvedimenti di ordine pubblico per la prevenzione.
I tropici in surriscaldamento
In base a questo criterio, l’équipe ha stabilito che nel 2000, la soglia fatidica di temperatura ed umidita’ e’ stata superata, per almeno venti giorni, su circa il 13% della superficie continentale del Pianeta, colpendo il 30% della popolazione mondiale. Cosa succedera’ domani? La minaccia non puo’ che ampliarsi, rispondono gli autori. Il suo livello dipendera’, tuttavia, da quello delle emissioni future di gas ad effetto serra. Nello scenario piu’ ottimista del Gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione del clima (GIEC), che suppone una riduzione rapida e drastica di queste emissioni e limita anche a 1 grado il riscaldamento nel 2100, la zona di pericolo riguarda il 27% della superficie del globo e il 48% della popolazione a fine secolo. Nello scenario piu’ pessimista, con il quale le emissioni di carbone conservano una curva ascendente arrivando ad un riscaldamento medio di 3,7 gradi nel 2100, sono il 47% del territorio e il 74% degli individui che sarebbero messi in pericolo. Di fronte al rischio di surriscaldamento, tutti non ne sono coinvolti nello stesso modo. Anche se i modelli dei climatologi prevedono aumenti di temperatura piu’ marcati alle alte latitudini, le regioni tropicali saranno “esposte in modo non proporzionato agli svantaggi dei giorni con condizioni climatiche potenzialmente mortali”. La ragione e’ l’umidita’ importante che e’ prevista tutto l’anno, che farebbe oltrepassare il livello di allarme anche con una crescita media del termometro. Pertanto, come reazione, la minaccia sara’ aggravata per l’invecchiamento della popolazione e la sua crescente concentrazione nelle zone urbane, soggette a fenomeni di zone isolate di calore.
“Prezzo ultimo”
Il grande interesse di questa pubblicazione e’ la sua dimensione globale, dice Robert Vaudard, direttore di ricerca al CNRS (Laboratoire des sciences du climat et de l’environnement, Institut Pierre-Simon-Laplace), che non ha partecipato a questo lavoro. Si sa che le ondate di calore uccidono, ma e’ la prima volta che uno studio va oltre le analisi locali, appoggiandosi ad una bibliografia molto ampia e un metodo statistico a sua volta preciso e innovativo”. Senza dubbio questi risultati fanno riferimento a dei modelli. Gli autori stessi rilevano questi limiti: i dati sono stati raccolti su un periodo relativamente breve (tre decenni) e non possono essere esaustivi, le incertezze sono piu’ grandi per le latitudini alte e, soprattutto, molteplici fattori (demografici, socioeconomici, urbanistici…) possono influenzare la futura vulnerabilita’ delle popolazioni. I ricercatori pongono l’accento soprattutto sull’importanza delle politiche di attenuazione del cambiamento climatico e di adattamento alle sue conseguenze. “Riguardo le ondate di calore, le nostre opzioni sono ora cattive e terribili commenta Camilo Mora, professore associato al dipartimento di geografia dell’Universita’ delle Hawaii e primo firmatario dello studio. Molte persone nel mondo pagano gia’ l’ultimo prezzo delle canicole e questo potrebbe essere pericoloso se le emissioni di gas ad effetto serra non siano considerevolmente ridotte”.

(articolo di Pierre Le Hir, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 20/06/2017)
 
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