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A PROPOSITO DI COMUNICAZIONE - VARIAZIONI SUL TEMA IN UN SABATO DI MAGGIO
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Articolo di Annapaola Laldi
1 giugno 2001 0:00
 
Ore 9,30. Eccomi al casello Firenze-Signa per entrare sull'Autostrada del Sole. Imbocco una delle porte miste, che servono sia a chi ha il Telepass sia a chi, come me, non ce l'ha.
Queste porte hanno una sbarra che e' sempre alzata e si abbassa soltanto quando entra nel corridoio un'auto senza telepass. Contemporaneamente la macchina sulla sinistra sputa fuori il biglietto che servira' per il pagamento al casello di uscita.
Che c'e' qualcosa che non va lo vedo appena entro nel corridoio. La sbarra non si abbassa. Mi fermo comunque, ovviamente, per ritirare il biglietto, ma non e' uscito da se' come di solito, e vani sono i tentativi di ottenerlo premendo il pulsantone rosso.
Farei volentieri marcia indietro per cambiare porta, ma a ridosso ho un furgoncino bianco. Premo allora il pulsante dell'emergenza, sotto il quale c'e' scritto di non abbandonare in alcun caso l'auto.
Aspetto. E' senz'altro solo una manciata di secondi quella che mi separa dalla risposta, ma, quando sono in una situazione come questa mi sento spersa e mi sembra che l'attesa duri minuti e minuti.
Finalmente una rude voce maschile mi apostrofa: "Cosa succede?". Oddio. Da dove viene e dove mi rivolgo per rispondere?
Vabbe'. Mi sporgo dal finestrino e, guardando la colonnina che non mi ha dispensato il necessario biglietto, dico: "La macchina non da' il biglietto".
La rude voce maschile assume una colorazione seccata: "Lei mi deve dire se ha il telepass".
"No, non ce l'ho", rispondo io, tranquilla.
Silenzio. Un'altra manciata di secondi di attesa. Lievemente alterata la voce ripropone la stessa domanda: "Lei mi deve dire se ha il telepass o no".
Forse non ha sentito la risposta. Parlo a voce piu' alta e lentamente, cercando di scandire bene le parole: "Non ho il telepass".
"Lei mi deve dire se ha il telepass o no".
Ma che sta succedendo? Sto parlando a voce troppo bassa (eppure non mi sembra), o il mio interlocutore e' sordo?
"No, non ho il telepass". Questa volta la mia voce si fa alterata soprattutto per lo sforzo. Sono ancora nell'ottica che ci sia un disturbo di trasmissione della risposta. Perche' io, la voce dell'altro la sento bene.
Ma ora le cose cambiano:
"Il telepass", mi dice la voce che e' diventata ancor piu' seccata e alterata con una nota di aggressivita' "sta registrando i suoi dati. Puo' passare".
No. Un momento. Io ho il telepass? Mi scopro ridicolmente a guardare il vetro, sotto lo specchietto retrovisore, come cercando qualcosa che ho dimenticato o non sapevo di avere. Accipicchia. La forza della persuasione occulta
Ma io il telepass non ce l'ho per davvero.
"Guardi che io il telepass non ce l'ho!". E questa volta la mia voce e' arrabbiata.
Un breve silenzio, dall'altra parte. E poi, l'altro torna alla carica, seccato che di piu' non si puo', e strilla:
"Lei mi deve dire se ha il telepass o no".
"Non ce l'ho! Come glielo devo dire?"
"Guardi che il telepass registra i suoi dati. Puo' andare".
"Ma io il telepass non ce l'ho! Lo vuole capire?".
A questo punto, il guidatore del furgoncino, che evidentemente ha seguito tutta questa surreale conversazione, schizza giu' dall'abitacolo, viene accanto alla colonnina, la guarda come se la volesse mangiare -e' anche un pezzo d'uomo- e grida con tutto il fiato che ha in gola:
"Ma che e' imbecille?". E, rapido come e' arrivato, si rifionda al volante del suo mezzo.
A questo punto, mentre risuona per l'ennesima volta la frase fatidica: "Lei mi deve dire se ha il telepass o no", mi giro e gli faccio cenno se si puo' tornare indietro. Cosa che fa prontamente -per fortuna nessuno si era messo in coda dietro a noi-, e cosi' anch'io, a lampeggianti di emergenza accesi, esco da quel corridoio dove cominciava a serpeggiare un elemento di follia pura.


Ma voglio vedere in faccia il mio interlocutore e portarlo a verificare coi suoi propri occhi che io il telepass non ce l'ho, e cosi' parcheggio l'auto nel piazzale apposito e comincio, con una certa trepidazione, la traversata dello spazio -con annesso slalom fra le automobili in arrivo- che mi separa dall'edificio in cui penso di trovare il "mio" uomo. E in effetti, appena finita, sana e salva, la traversata, vedo uscire un uomo dall'edificio. Gli chiedo: "Mi scusi, e' Lei la persona con cui ho appena avuto una conversazione sul telepass?"
"No", mi fa lui, "Lei ha parlato con Firenze-Nord. E' da li' che controllano le porte.....".
".....male", gli rispondo io, chiedendogli anche lumi sulle capacita' intellettive di quel signore.
"No, vede", cerca di spiegarmi questo addetto, "il fatto e' che la macchina gli diceva che lei aveva il telepass".
"Si', questo l'avevo capito. Ma che il telepass ce l'avevo o no, chi l'avra' saputo meglio, secondo Lei, la macchina o io?".
"Eh, beh!", bofonchia lui.
Mentre riattraversiamo insieme la corrente di auto, arrestandoci ogni volta, per prudenza, su quei triangoli di marciapiede che segnano l'inizio delle porte, vengo ad avere la spiegazione dell'assurdita' per cui a me, che chiedo aiuto al casello di Firenze-Signa, risponde un operatore da Firenze-Nord, il quale non crede a me -essere umano-, a lui invisibile non solo fisicamente, ma anche, sembra chiaro, psicologicamente, ma alla macchina, che invece vede davanti a se' e di cui, forse per questo, si fida totalmente ("Ma guarda questa idiota di donna che non sa neppure di avere il telepass a bordo", deve aver pensato; del resto, il tono con cui ribadiva la domanda, aveva preso quasi subito a manifestare questa convinzione). Ma, per risolvere il dubbio che alla fine deve avergli attraversato la mente, lui non ha potuto fare altro che chiamare al telefono il casello di Firenze-Signa e riassegnare la soluzione del caso a un operatore presente nel luogo dove l'inconveniente si stava manifestando.
E se la comunicazione si fosse subito svolta fra me e l'operatore sul posto? Non si sarebbe risparmiato fiato, malumore e tempo? Perche', a questo punto, di manciata di secondi in manciata di secondi, la somma faceva circa 15 minuti. Persi per tutti.

Contraddizioni della vita in questo mondo in rete. Siamo in rete o ... nella rete?



E la giornata e' passata. Anche molto bene, a fare lavori semiagriacoli da una mia amica che ha una casetta ancora "in via di definizione" su una collina che guarda il Valdarno superiore e i monti del Chianti, al confine fra l'olivo e l'abete.

Abbiamo fatto piu' tardi del previsto. E' calata l'oscurita', mentre, in casa, ci riposavamo chiacchierando un po' del piu' e del meno. Guardo l'orologio e sono le 21,20. Cosi' tardi?! Si', cosi' tardi.

Ma siamo rimaste a sedere ancora qualche minuto. Ed e' a quel punto che, dal tubo che sporge dal pavimento e che, a fine lavori, dovrebbe servire come presa d'aria per un futuro caminetto, ecco che viene un rumore, come un ruzzolio
ovattato, un po' sordo. E poi, come un sibilo. Ci guardiamo, tutte e due un po' perplesse.
"Deve essere la donnola", fa la mia amica.

Gia'. Perche' in questa casetta, a cui mancano ancora diverse rifiniture interne, e che viene abitata per alcuni giorni di seguito solo nell'estate, si e' stabilito, quest'inverno, un animale che, facendo un complicato percorso attraverso delle tubazioni dal tetto alla cantina e poi risalendo una scala a chiocciola e rituffandosi in un altro tubo, entra ed esce a suo piacimento.
Delle persone che a Pasqua hanno passato li' qualche giorno con gatti al seguito, hanno potuto vedere, di notte, questo piccolo animale, dal corpo flessuoso e dalla bella coda, infilarsi nel tubo che porta alla sua dimora, mentre i gatti facevano vista di non vedere ne' sentire niente. Al che e' stato dedotto che di donnola doveva trattarsi sia per l'aspetto fisico sia per l'indifferenza dei gatti che avrebbero fiutato la pericolosita' dell'ospite, astenendosi, quindi, da ogni gesto meno che educato e rispettoso. L'indifferenza, in questi casi, paga bene. Parola di micio.

"Forse ha i cuccioli", dico io, perche' tutto quel ruzzolio mi dava l'idea non del muoversi di un animale solo, ma di piu' animali, e piccoli per giunta.
E siamo rimaste ancora a parlare delle nostre cose.
Ma ad un certo punto, il rumore e' diventato piu' forte. Si e', per cosi' dire, imposto alla nostra attenzione. Il ruzzolio era, adesso nel sottofondo, ma in primo piano c'era il rumore di un movimento piu' pesante, una sorta di scalpitio, accompagnato da questa specie di fischio non acuto, ma piuttosto sordo. Direi, minaccioso.
Quanto meno, impaziente. E sull'orlo di perderla, la pazienza, definitivamente.
"Ma insomma", e' cosi' che tutte e due ci siamo trovate a decodificare questo segnale, "che ci fate in casa mia. Io devo uscire. Devo andare a fare la spesa, io. Levatevi dai piedi. E alla svelta. SPARITE!".

Con un misto di stupore e di inquietudine, ci siamo guardate.
"Si', si', signora Donnola, ci scusi. Ce ne andiamo subito", mi sono ritrovata a dire io, e parlavo sul serio. Davvero mi stavo relazionando con quell'essere che da la' sotto, invisibile, ci mandava un inequivocabile messaggio di seccatura e di urgenza.
La comunicazione qui -pur sempre nell'invisibilita' di uno degli interlocutori- sembrava univoca. Inequivocabile.

E cosi', alla svelta, abbiamo raccattato le nostre carabattole, controllato che le finestre fossero sbarrate, il gas e l'acqua chiusi. Abbiamo spento quella luce cosi' fastidiosa agli occhi dell'inquilina nottambula, e le abbiamo tolto la nostra sgradevole presenza. A tentoni, abbiamo raggiunto le rispettive macchine e siamo partite.

Ora il problema per la mia amica e' di trovare il modo per ritornare nel pieno possesso della sua casa, perche' e' una solitaria e non ha voglia di coinquilini. Ma che il modo sia giusto ed equo anche per l'animale, altro solitario, evidentemente, che neppure lui ha tanta voglia di forzate convivenze, e che ha saputo comunicare in modo cosi' chiaro la propria esigenza, meritandosi sul campo il pieno rispetto.
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