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Quando l'inasprimento delle pene peggiora la situazione, il rimedio e' cambiare l'approccio
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Articolo di Vincenzo Donvito
21 dicembre 2001 19:31
 
La legge che estende l'associazione mafiosa ai contrabbandieri di sigarette, portera' molti di loro ad abbandonare questo traffico per dedicarsi a quello piu' lucroso delle sostanze stupefacenti.
E' la valutazione che da' il comandante della Guardia di Finanza della Puglia, il generale Giulio Sbarra facendo il bilancio dell'operato del suo corpo. Per uno scafo carico di sigarette di contrabbando occorrono almeno tre persone a bordo e lo scafo occupato tutto dal carico -dice il nostro generale- e con un guadagno, per esempio, di 100. Fino a ieri per questo traffico non si rischiava l'incriminazione per associazione mafiosa, e quindi c'era un certo utile commisurato ad un certo pericolo, che oggi invece e' maggiore, e, di conseguenza, fa titubare i trafficanti a rischiarlo. Se invece lo scafo e' pieno di persone che cercano di immigrare clandestinamente e c'e' un pacchetto di sostanza stupefacente che vale sempre 100 (se non di piu'), nel caso di blocco del mezzo da parte dell'autorita' di polizia, sara' piu' difficile per quest'ultima stabilire se questo pacchetto sia dello scafista (in questo caso da solo, perche' sufficiente per cio' che sta facendo) piuttosto che di un passeggero. E quand'anche si riuscisse a ricondurre il pacchetto di sostanza stupefacente allo scafista, quest'ultimo, da solo, non potra' essere incriminato per associazione mafiosa (bisogna essere almeno in due per fare un'associazione ..) (tranne, ovviamente, dimostrare con indagini successive l'appartenenza dello scafista a questa o quell'altra organizzazione, ma questo e' un discorso piu' ampio e articolato .).
Una situazione in cui l'inasprimento della pena puo' facilmente portare il futuro criminale a commettere un reato con danni maggiori per la societa' (e' innegabile che, nell'insieme, il mercato clandestino delle sigarette di contrabbando faccia meno danni di quello degli stupefacenti). Un modo di legiferare e affrontare la questione che e' come quella del "cane che si morde la coda", cioe' di un tentativo di rimedio che fa male (piu' male nel nostro caso) allo stesso che cerca di porvi freno.
E' la logica del divieto, che partendo da un fine presunto nobile, deforma -ingigantendo la sua dannosita'- lo stesso male che voleva combattere. Ed e' una logica che gli addetti alle forze dell'ordine hanno ben presente, perche' stando "sul pezzo" tutti i giorni, si accorgono di girare intorno al problema, senza mai prenderlo di petto e peggiorando la situazione. Non e' un caso, a conferma, che in Gran Bretagna, proprio in questo periodo sono le forze dell'ordine che stanno ponendo la necessita' di una legalizzazione di consumo e traffico, e di una politica di riduzione del danno . e per fortuna il ministro degli Interni gli sta dando ascolto e sta muovendo i primi passi in questo senso, anche dopo vari esperimenti in materia che hanno dato risultati positivi.
E' alle forze dell'ordine, quindi, che bisogna guardare per capire meglio le dinamiche dei disastri in corso. Il sospetto -come dice lui stesso- del generale Sbarra, che le nuove incriminazioni stiano portando al peggioramento della situazione, va letto come un suggerimento per il legislatore a riconsiderare l'approccio alla materia. Cio' che viene fatto si sta trasformando in una sorta di impazzimento delle norme, che' qualunque forma di inasprimento della repressione della liberta' individuale contengano, non servono alla bisogna, anzi.
Il problema e' far capire questo al legislatore e a chi ci governa che, invece, sembrano infarciti di blocchi ideologici, per cui a tutto cio' che decidono devono da far pagare il prezzo di questa ideologia. Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, anche quelli degli scafisti tra l'Albania e la Puglia.
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