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Resistere per vivere – ovvero: Omaggio a Francesco
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Articolo di Annapaola Laldi
25 aprile 2024 10:37
 
 Stamani, percorrendo una strada, che frequento poco, ho posato l’occhio su una saracinesca chiusa, sulla cui soglia, qualche anno fa, morì, di prima mattina, Francesco, un uomo ormai maturo che purtroppo era stato schiavo dell’alcool per tanti anni della sua vita, diventando lo zimbello del paese. Per diverso tempo, qualcuno aveva deposto un fiore su quella soglia, poi … più niente. Un giorno o l’altro ci lascerò io una rosa.

Oggi, anniversario della liberazione di tutta l’Italia (anche quella settentrionale dal 1943 in poi sotto il tallone dei nazisti aiutati dai fascisti della repubblica di Salò) – liberazione avvenuta grazie alla Resistenza di tanti antifascisti italiani, molti dei quali pagarono con la vita il loro amore per la libertà, voglio offrire una variante sul tema della Resistenza.

Cioè, la resistenza personale ad altre schiavitù, ad altri gioghi non meno feroci di quello che ha patito l’Italia nella prima metà del XX secolo.
La resistenza, personale o collettiva, è sempre qualcosa che ha alti e bassi, in cui le singole persone (o anche i gruppi) si confrontano con la fiducia che ce la faranno a sconfiggere chi le opprime, ma anche si scontrano con la disperazione quando scoprono che la loro forza è impari rispetto alla pre-potenza degli avversari.

Così è nella Storia – con la S maiuscola –,  così è nella storia più modesta del singolo individuo, che non sarà oggetto della ricerca di studiosi, ma resterà solo nella memoria personale della persona che la vive e forse di qualche altra che lo ha guardato con empatia.

E’ il caso, appunto, di Francesco che, per motivi che io non conosco, e che forse neppure lui conosceva bene, si trovò presto schiavo dell’alcool tanto che, in paese, era conosciuto non col suo nome, ma col nomignolo spersonalizzante, e per questo infame, di “il Ciuccia”.

Io stessa lo avevo imparato a conoscere con questo nomignolo. E, quando lo vedevo, cercavo il più possibile di girargli alla larga, perché, in certi momenti, quando probabilmente era molto alterato, diventava particolarmente aggressivo specialmente con le donne, con parole e con gesti, come se volesse saltarti addosso. Ma ho sempre avuto l’impressione che, in realtà, fosse pungolato, addirittura aizzato ad agire così dai ragazzi che gli facevano capannello intorno – forse per loro era una specie di fenomeno da baraccone, un motivo di divertimento.

Ma, per fortuna, un giorno, all’improvviso, me lo ritrovai davanti a sorpresa nel centro del paese. Era mattina piuttosto presto e in quel tratto di strada eravamo lui e io. Impossibile evitarlo. Ma la mia sorpresa fu che mi venne incontro sorridendo con in mano un peluche di media grandezza, non ricordo che animale rappresentava, ma era carino. Me lo avvicinò al volto come per fare una carezza. Mi trovai ben disposta nei suoi confronti; del resto da tempo avevo chiesto a un conoscente qual era il nome vero di quest’uomo. E così, quella mattina, non ebbi moti di paura, ma lo salutai chiamandolo per nome.

Sono tutt’oggi molto contenta che sia avvenuto quell’incontro, perché, da quel momento, ogni volta che ci incrociavamo, facevamo un po’ di conversazione e così capii quale bella persona si nascondeva (e si era nascosta sempre) dietro l’aspetto dell’ubriacone. Scoprii una persona capace di riflessioni profonde, addirittura di meditazioni. Una persona lucida, anche, nella consapevolezza di sé, e pure nella conoscenza del prossimo, dei suoi concittadini, di cui sapeva parecchie cose, quei vizi privati dietro il velo delle pubbliche virtù. Ma non faceva pettegolezzi, solo era amareggiato dal fatto di essere ancora, per gli altri, quello che beveva, quello inaffidabile, quello che dava spettacolo di sé ed entrava e usciva dalle strutture deputate alla disintossicazione e poi ci rientrava … e questo per anni.

Questa volta, però, era diverso. Qualcosa ancora beveva, me lo disse, ma riusciva a tenere sotto controllo questo demonio e lo faceva, mi sembrava, nella solitudine e nel freddo della mancanza di quelle relazioni umane, di cui sentiva il bisogno.

Certo, un ribelle alle norme della società, quelle che ti vogliono in giacca e cravatta a dire di sì, sempre. Lui non era così, ma voleva vivere, non solo sopravvivere, e questa volta sentiva che era il momento giusto. 

Era povero, ma non chiedeva l’elemosina, pur essendo grato a chi gli offriva un aiuto, anche piccolo, rispettando però la sua dignità. In realtà, aveva un appartamento, in cui però erano state tagliate tutte le utenze – luce, acqua, gas – e allora, dopo aver girato o girovagato per il paese, la sera, tornava in quel tratto di strada poco frequentata, e dormiva, riparandosi sommariamente con una coperta, attaccato alla saracinesca di un fondo sempre chiuso, pronto, al mattino, a ricominciare la sua giornata meditabonda e peregrinante.

Finché, una mattina, non si svegliò. Vano l’intervento dell’ambulanza; il medico non poté fare altro che constatarne il decesso.
Ha avuto delle esequie solenni in chiesa, a cui parteciparono molte persone senza fissa dimora. Una famiglia ce l’aveva, che fece affiggere la partecipazione della sua morte.

Per me è rimasto sempre un mistero, nel senso più profondo del termine, il perché di questa sua vita all’apparenza dissipata.

Ma ora, mentre scrivo, collego il suo nome a Francesco di Assisi. Forse anche questo Francesco del XX secolo ha operato la sua rivoluzione spirituale e sociale, in un modo, se vogliamo, ancora più radicale, perché ha seguito una strada di resistenza alla ricchezza, al benessere, all’accettazione sociale non solo difficile da capire, ma  addirittura respingente per la stragrande maggioranza di chi lo ha incontrato, ma non lo ha voluto riconoscere come essere umano, sempre colmo di dignità, sempre degno di empatia.

Mi ha insegnato molto, questo Francesco, con le sue stigmate non ritenute degne di venerazione. Grazie, Francesco, per la tua resistenza alle potenti sirene di questa società. Grazie per avermi avviato, anni fa, sulla strada dell’accettazione di ciò che mi pareva inaccettabile.

 
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