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Riina, la morte dignitosa e le Bolzaneto mentali
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Articolo di Alessandro Gallucci
7 giugno 2017 10:18
 
 La Corte di Cassazione, è notizia di questi giorni, ha chiesto al Tribunale del riesame di Bologna di valutare con maggiore attenzione e concretamente la compatibilità tra la detenzione carceraria e le condizioni di salute di Totò Riina (noto Boss di Cosa nostra). Il condannato è affetto da tumori e cardiopatie. Dalla sentenza si comprende che le condizioni cliniche sono gravi (1).
I giudici di Cassazione, in buona sostanza, altro non hanno fatto che dire ai giudici del Tribunale di Bologna di considerare il tutto con maggiore attenzione. Le regole generali vanno applicate ai casi concreti con scrupolo, non assiomaticamente. Insomma al termine del giudizio non è da escludersi che il condannato Riina resti lì dov’è. Magari alcuni passaggi della sentenza sono ostici per chi è abituato alla comprensione di frasi semplici e idiote come “Aiutiamoli a casa loro”, “Prima gli italiani” e “Aerei e ristoranti sono pieni”, ma uno sforzo non farebbe male a nessuno: consigliamo di leggerla. E per chi non volesse rimandiamo ad un’ottima sintesi (2).
Il problema che ha posto la Cassazione è serio e meritevole di attenzione: quando qualcuno sta male, chiunque esso sia, bisogna sempre contemperare con attenzione le esigenze di tutela generale con quelle dell’individuo che, per quanto esecrabile possa essere (aggiungiamo noi), ha pur sempre diritto ad una fine dignitosa. Non è la prima volta che si chiede di giungere a questo risultato (mica all’automatica scarcerazione), ma la notorietà del condannato ha certamente amplificato il tutto.
Sono comprensibili le reazioni scomposte di alcuni famigliari delle vittime di mafia? Sicuramente, ma per fortuna lo Stato di diritto prevede meccanismi di giustizia che evitano dalla giustizia privata e la lapidazione; non quella mediatica e dei social network, però. In questi “luoghi” è abbondata, con ormai nessuna sorpresa, la valutazione superficiale e emotiva (al limite dell’ossessivo compulsivo ormai cronicizzato). Riina è Riina e non ha alcun diritto. Questa la sentenza del popolo. Inappellabile, definitiva. Come l’amara constatazione che tanti cervelli siano finiti (e tanti ancora si lascino liberamente condurre) in una Bolzaneto del pensiero senza nemmeno accorgersene: torturati, umiliati e nonostante ciò contenti del loro stato di privazione della dignità. Felici a tal punto di difenderlo. Una sindrome di Stoccolma collettiva in piena regola. John Staurt Mill diceva che “è meglio essere un uomo malcontento che un maiale soddisfatto, essere Socrate infelice piuttosto che un imbecille contento, e se l'imbecille e il maiale sono d'altro avviso ciò dipende dal fatto che vedono solo un lato della questione”. Aveva ragione, ma è pur sempre triste constatare “l’imbecille suinità” di tanti esseri umani.

(1) Per chi volesse approfondire questo è il testo integrale della sentenza.
(2) Qui un articolo di Massimo Bordin pubblicato il 6 giugno 2017 su “IlFoglio”
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