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La scuola italiana per la lotta alla droga: da Roma a Vienna e poi di nuovo a Roma
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Articolo di Massimo Lensi
15 marzo 2002 15:09
 
"Superficialita', pressappochismo, ingenuita'", sono gli unici commenti che ci sentiamo di esprimere. Le linee direttrici del vice primo ministro Gianfranco Fini "prevenire, reprimere, recuperare" esprimono, se mai avessimo avuto dubbi, il drammatico vuoto della posizione italiana ai lavori della 45.ma sessione della Commissione Droga delle Nazioni Unite.
Negli Stati di diritto le droghe pericolose sono quelle illegali, le uniche che veramente mettono a rischio la vita delle persone. Non vogliamo ripetere analisi piu' volte esposte, ma ci sembra opportuno ricordare che numerosi Paesi europei come Olanda, Germania, Svizzera, Spagna e Gran Bretagna non sono dello stesso parere di Fini. Per fortuna aggiungiamo noi.
L'Italia di Fini, di queste posizioni antiche e sorpassate dai fatti della storia, promette pero' tuoni e fulmini, contro tutto e tutti. Vuole, o meglio vorrebbe, "bloccare il raccolto di oppio" dei Paesi produttori con la consueta formuletta dell'eradicazione. E per convincere gli interlocutori non trova meglio che erogare un ulteriore finanziamento all'Organizzazione di 12,2 milioni di euro ed un secondo all'Undcp di 1,5 milioni di euro per azioni mirate. Come non ricordare a Fini, e al nuovo Direttore dell'Undcp, l'italiano Antonio Maria Costa, che ormai l'attenzione sui progetti di finanziamento per l'eradicazione delle colture sia sotto l'occhio di molti osservatori internazionali. Ultimo in ordine di tempo il quotidiano "International Herald Tribune" dell'11 marzo, che sottolinea come la corruzione del regime comunista del Laos, uno tra i Paesi piu' aiutati del mondo, anche dall'Undcp, vada aumentando. Per questo alcuni Paesi come Australia e Svezia hanno ridotto i loro programmi di assistenza. La stessa regola vale per tutti i Paesi del Triangolo d'Oro.
La scuola di Pino Arlacchi sembrerebbe dura da morire, nonostante i suoi palesi fallimenti.
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