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SE NON IO PER ME, CHI PER ME? E SE NON ORA, QUANDO?
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Articolo di Annapaola Laldi
1 aprile 2001 0:00
 


Sono domande che mi pongo spesso da quando, circa 25 anni fa, le incontrai in un romanzo di Primo Levi, e mi sembra, questo, un momento particolarmente adatto per formularle anche ad alta voce. Perche' veramente tante, da alcuni mesi, sono le sollecitazioni che si accavallano e si assommano - e ci spingono sempre piu' con le spalle al muro della nostra responsabilita'. Che ci piaccia o non ci piaccia, ci dobbiamo rendere sempre piu' conto che non possiamo far vista di niente. Ci e' chiesto, quasi imposto di scegliere in tanti settori della nostra vita. E ci accorgiamo sempre di piu' che anche la presunta "non scelta" e' pur sempre una scelta. Carica di conseguenze come l'altra. Conseguenze che ci riguardano, singolarmente e collettivamente, e danno l'impronta, condizionano quello che per abitudine chiamiamo futuro. Ma: non potrebbe essere, questo "futuro" gia' qui, davanti a noi, plasmato proprio da quel "si'" o "no" forse distratto con cui rispondiamo a una richiesta o domanda che magari ci sembra insignificante? Fatti come quello delle malattie del bestiame (BSE, afta epizootica, ecc.) non possono essere ridotti a episodi gravissimi, si', ma circoscrivibili nel tempo e nello spazio; ragion per cui, passata la cosiddetta emergenza, tutto puo' tornare come prima. Al contrario, essi hanno piu' l'aria di segnali inequivocabili che qui si sta verificando una svolta epocale - una svolta molto piu' concreta e profonda del cambiamento della cifra iniziale nella numerazione degli anni.
Perche' in questo caso si tratta della messa in discussione di una certezza davvero millenaria per gran parte dell'umanita', quella dell'alimentazione basata anche sul consumo di carne. E che la cosa sia veramente dura da accettare lo si scorge nel sostanziale rifiuto, anche in sede medica, di concedersi una piccola pausa di riflessione. Il problema, infatti, sembra non stia tanto nel sapere se DAVVERO abbiamo assoluto bisogno delle proteine animali tratte dalla carne, quanto, piuttosto, quello di trovare una carne non contaminata (non contaminabile?). Da qui la ricerca, anche patetica nella sua pervicacia, del nuovo a tutti i costi, e il tuffo nell'esotismo: dagli struzzi ai serpenti. Tutto davvero fa brodo -purche' sia di carne, ovviamente.
Ecco allora che solo una presa di coscienza personale -come forse mai ci eravamo sognati di avere- e' indispensabile per trovare un minimo di orientamento in questo marasma. Il che non vuol dire trasformarsi di punto in bianco in vegetariani, e magari, con cecita' pari a quella di prima, mettersi a disprezzare e a perseguitare gli antichi compagni di strada. No, non si tratta di questo. Anche perche', nella fattispecie, neppure la scelta vegetariana e' priva di problemi. Si tratta, piuttosto, di essere presenti al presente: rendersi conto di cio' che facciamo, cominciare a valutare la portata, per noi e per gli altri, del nostro fare (o non fare), ampliare il nostro orizzonte. Non sottrarci agli interrogativi che ci vengono incontro dalla situazione e lasciare che risuonino dentro e fuori di noi. Con precisione. Con decisione.

Il tema dell'alimentazione e' particolarmente istruttivo proprio perche' e' vitale. Alla lettera. Ma non e' l'unico a sollecitarci nella richiesta di prendere la vita nelle nostre mani, senza illuderci e accettare supinamente che altri -chiunque siano questi altri- abbiano, sulla nostra vita, piu' competenza di noi.
Il panorama e' vasto e si possono suggerire solo alcuni esempi. Mi limito, adesso, a quello che e' immediatamente contiguo al tema dell'alimentazione, e cioe' la salute. Anche qui, mi pare che ci sia richiesta un'attenzione piu' acuta.
"Se c'e' la salute, c'e' tutto" . L'automatismo con cui salta fuori questa affermazione, spesso come compensazione per altre mancanze, dovrebbe far riflettere. Specialmente se messa accanto a quella richiesta di salute cosi' viva oggigiorno un po' in tutti quanti che mi sembra non scorretto definire "ansia salutista". Il proliferare di riviste specifiche e di inserti appositi nei maggiori quotidiani la dice lunga sull'argomento.

Sapere che cos'e' la salute non e' ne' semplice ne' scontato. Tant'e' vero che organismi importanti hanno sentito il bisogno di darne una definizione. L'Organizzazione mondiale della sanita' (OMS), ad esempio, afferma che: "La salute e' una condizione di benessere globale, fisico, psichico e sociale e non soltanto l'assenza di malattie e di imperfezioni". La "Commissione medica cristiana", un organismo del Consiglio ecumenico delle Chiese, che raccoglie le principali chiese cristiane del mondo, dal canto suo, la definisce come "un segno vivo di benessere dell'individuo e della societa', di stabilita' fisica, psichica, spirituale, economica, sociale e politica".
Interessante, vero? E anche un tantino disperante. Alla luce di queste definizioni, infatti, impallidisce perfino la battuta centenaria di Anatole France, secondo il quale "Il sano e' un malato che non sa di esserlo". E, a ben guardare, la linearita' che caratterizza queste due definizioni e' pure inquietante. Non potrebbe qualcuno, in vena di filantropia o per tutta l'umanita' o per la SUA gente, decidere, lui per tutti, di creare una "condizione di benessere globale"?
E poi: come si fa a raggiungere questo benessere, questa stabilita' a tutti quei livelli -fisico, psichico, sociale, spirituale, economico, politico-, quando anche in questa parte di mondo, che e' privilegiata, la precarieta' si fa sentire ovunque con forza sempre maggiore?
Assenza di malattie non e' piu' sinonimo di salute, ci dice l'OMS. Ma anche se lo fosse, sappiamo bene -come del resto sapevano i nostri antenati- che non c'e' cosa piu' volatile della salute. Ora non ho malattie, ma domani? Uno dei motivi dell'ansia a volte straziante di questa nostra epoca non e' forse causata proprio dalla consapevolezza di questa precarieta'? Col ricorso a visite mediche, esami clinici, (psico)farmaci non appena c'e' un piccolo sintomo. Il tutto favorito dalla crescente medicalizzione di tutti i momenti della vita. Anche la gravidanza più normale e tranquilla e' diventata una malattia, a giudicare dal numero di accertamenti imposti alla donna (salvo poi non poterli fare nelle strutture pubbliche perche' queste sono inadeguate alla bisogna. E salve, poi, purtroppo, situazioni drammatiche che ugualmente si danno).
E la paura dell'invecchiamento? E la paura della morte? E il lavoro che non si trova o che puo' sparire improvvisamente, i risparmi minacciati dall'altalena delle borse, la politica diventata una specie di ring di catch (neanche di lotta greco-romana)? Altro che stabilita'! Qui siamo sulla bocca di un vulcano. E ci siamo noi. Ciascuno da se', anche se tutti insieme.

Non sara' necessario, anche in questo caso, trovare il coraggio di rivedere un po' le cose con la nostra testa e con la nostra sensibilita', anziche' rimetterci nelle mani di altre persone che sono come noi, esposte anche loro alle nostre stesse angosce, anche se hanno colletti o camici bianchi o tonache di vario colore? Non sara' meglio fare i conti direttamente proprio con questa precarieta', scoprirla come parte integrante della vita?

Già nel 1976, richiamava a questa riflessione IVAN ILLICH , scrivendo il libro "Nemesi medica", dall'eloquente sottotitolo "L'espropriazione della salute". La salute, per lui, esprime proprio "LA CAPACITA' DI ADATTARSI ALLE MODIFICHE DELL'AMBIENTE, DI CRESCERE E DI INVECCHIARE, DI GUARIRE QUANDO SI SUBISCE UN DANNO, DI SOFFRIRE E DI ATTENDERE SERENAMENTE LA MORTE" . La salute, dunque, e' vista "come capacita' di far fronte al dolore, alla malattia, alla morte". E, se possibile, si va ancora più a fondo, quando si legge: "LA FRAGILITA', L'INDIVIDUALITA' E LE CONNESSIONI DELL'UOMO, VISSUTE CONSCIAMENTE, fanno dell'esperienza del dolore, della malattia e della morte una parte integrante della sua vita. LA CAPACITA' DI FAR FRONTE A QUESTO TRIO IN MANIERA AUTONOMA E' FONDAMENTALE PER LA SUA SALUTE. A misura che intervengono altri nella gestione della sua intimita', egli rinuncia alla propria autonomia e la sua salute non può non deperire" . (A. Mondadori, Milano 1977, p. 290. 292)*.
E' un vero e proprio capovolgimento di mentalità che, secondo me, vale la pena di prendere in considerazione, magari servendosi di un articolo dello stesso autore, comparso nel marzo 1999 su "Le monde diplomatique" col titolo "L'OSSESSIONE DELLA SALUTE PERFETTA" .

* "Nemesi medica" è stato pubblicato di nuovo nel 1991 da Red/Studio Redazionale (Scienze mediche. Medicina)
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