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South Carolina. Uccidere con la droga un bambino non-nato: riflessioni su una condanna a 12 anni.
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29 giugno 2001 0:00
 
Regina McKnight, una giovane tossicodipendente della South Carolina e’ stata la prima donna ad essere condannata a 12 anni di reclusione per l'omicidio del figlio, morto prima di nascere; dal 1997 la Corte Suprema del South Carolina ha dichiarato che una donna incinta puo' essere perseguibile penalmente e condannabile fino a 10 anni di carcerazione per aver usato droghe durante la gravidanza. Il caso rappresenta il banco di prova per verificare fino a dove puo' arrivare il governo per impedire che le donne in gravidanza possano danneggiare il proprio feto. La questione contrappone interessi duplici: quelli governativi contro i diritti dell'individuo, il diritto della donna di controllare il proprio corpo contro la salute del nascituro, ma soprattutto contrappone la lotta alla droga ai diritti alla privacy negati dai test pre-parto sottoposti, coercitivamente e segretamente dal 1989 al 1997 a donne incinte tossicodipendenti. In quegli anni l'azione di controllo e prevenzione ha visto i medici negare il diritto alla segretezza del paziente consegnando i risultati dei test alla polizia. L'"Americam Medical Association", insieme ad altre organizzazioni sanitarie pubbliche, sostiene che questo programma scoraggi pesantemente le donne dall'affidarsi alle cure prenatali, terrorizzate dal rischio di essere arrestate nel caso di una positivita' ai test. La professionalita' dei medici e' messa in discussione e la fiducia delle pazienti e' stata defnitivamente compromessa. Priscilla Smith -procuratore legale di Lory Griffin,- afferma che i test non seguono standard precisi ma sono arbitrariamente imposti a chi sia sospettato di fare uso di droghe; per il  97% dei casi (1998) il target e' afro-americano, con un reddito al disotto della soglia di sostentamento e, spesso , senza fissa dimora. "Vi sono molti altri rischi per un sano sviluppo dei bambini, e l'analisi appare nel Wesdney's Journal of the American Medical Association " come rileva Deborah A. Frank, professore associato di Pediatria della Boston University; "le donne che fanno uso di cocaina durante la gravidanza spesso fumano, bevono e utilizzano altre sostanze psicotrope legali, vivono in stato di poverta' e in ambienti insalubri. Questi fattori possono spiegare alcuni deficienze legate non necessariamente all'uso della cocaina". Barry Lester -direttore del Centro di Sviluppo Infantile alla Brown Medical School- conferma: "per noi il vero problema e' la poverta', la continua esposizione alle droghe presente nelle periferie cittadine", e aggiunge: "gli studi mostrano come la droga, alla quale vengono esposti i feti, non abbia effetti devastanti sullo sviluppo dei bambini se la possibilita' di vivere in un ambiente sano gli e' comunque garantita dopo la nascita". L'opinione e' condivisa dal Direttore Esecutivo degli avvocati nazionali delle donne in gravidanza Lynn Paltrow: "il problema piu' grande nel nostro paese non sono le gestanti che utilizzano droghe , quanto la loro poverta'" "Le cause di aborti spontanei non sono scientificamente attribuibili all'utilizzo di cocaina da parte delle madri", ad ammettrlo non e' un militante antiproibizionista ma un medico antiabortista, il Dottor Kanrati- medico esaminatore di Charlston. Durante un programma sull'argomento alla National Public Radio , Paltrow ha evidenziato come l'interesse governativo non sia quello di difendere i futuri figli di tossicodipendenti, quanto stigmatizzare le madri come strumento di lotta alla droga. "Lo Stato ha deciso di non affrontare la questione dal punto di vista medico, l'unico accettabile." "Demonizzare le madri e marchiare i figli e' dannoso per entrambi, ma forse piu' semplice ed economico", come sentenzia laconicamente il manager della clinica La Rabida- Kay Komie.
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