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In Spagna siringhe sterili per i detenuti tossicodipendenti. L'Aduc chiede di fare altrettanto in Italia
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Articolo di Vincenzo Donvito
5 dicembre 2001 12:35
 
La Direzione Generale degli Istituti penitenziari spagnoli ha deciso che, dal prossimo 1 gennaio, in tutte le prigioni saranno distribuite siringhe sterili ai detenuti che ne faranno richiesta. Dopo un programma pilota di 4 anni a Basauri, visti i risultati positivi che non hanno portato ad un incremento del consumo di droghe in assoluto e di eroina in particolare, l'autorita' carceraria ha deciso di generalizzare il programma al fine di tutelare la salute dalle infezioni di Hiv ed epatite C (dei 162 morti in carcere nel 1999, 50 sono state vittime dell'Hiv).
E' bene ricordare un principio fondamentale per una societa' che si voglia definire umana ed espressione del diritto, cioe' quello che li' dove si tutelano i diritti degli ultimi, ci sono piu' garanzie perche' siano tutelati i diritti di tutti. E crediamo sia questo il principio ispiratore dei vicini spagnoli, e, in teoria, dovrebbe essere anche quello italiano.
Sara' bene ricordare che la situazione italiana delle carceri non si discosta molto da quella spagnola.
Al 31 dicembre 2000, i sieropositivi erano 1.459, gli affetti da AIDS conclamata 128, ma soltanto il 40% della popolazione ristretta si sottopone al test all'ingresso. Si puo' stimare che i detenuti positivi per Hiv siano 5.000. Una legge del '93 che sancisce l'incompatibilita' della malattia con il regime carcerario, e' stata modificata in senso restrittivo nel '95 e nel '99, affidando al magistrato la discrezionalita' di decidere la permanenza in carcere dei malati.
I detenuti tossicodipendenti, al 31 dicembre 2000, erano 14.440, molti dei quali incarcerati in base all'art.73 della legge 309/90 (possesso e piccolo spaccio di droga).
Leggi come quella sull'incompatibilita' della detenzione per i malati di Aids sono praticamente lettera morta, la somministrazione di metadone in carcere e' anch'essa in balia dell'arbitrarieta' dei vari istituti penitenziari.
L'Agenzia sulle droghe dell'Unione Europea (EMCDDA, Centro Europeo di Monitoraggio per le Droghe e le Tossicodipendenze), in un suo rapporto di fine agosto, ha rilevato che chi entra in carcere gia' drogandosi, continua tranquillamente a farlo. Per cui, se all'esterno del carcere il singolo ha a disposizione gli strumenti per non contagiarsi con Hiv ed epatite C, la stessa persona, quando entra in carcere (e da consumatore abituale di droga per via endovenosa e' molto probabile che sia spesso ospite delle galere), continuando a drogarsi, e' molto piu' esposta ai pericoli di infezione.
Se sulla questione non si ha un approccio ideologico (con i tradizionali "partiti" di droga-no e droga-si') ma pragmatico, ci si deve porre il problema esclusivamente in termini sanitari, cioe' cercando di prevenire le infezioni. Se poi la droga in carcere circola o meno, non e' un problema che deve riguardare l'aspetto sanitario, ma quello di polizia carceraria e legislativo piu' in generale. Compito di un addetto alla sanita' del detenuto, e' mettere in condizione lo stesso di non contrarre malattie, scoraggiandolo da comportamenti che lo inducono a queste, ma pronto ad aiutarlo quando vi e' dentro.
In questa logica poniamo il problema al ministro di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli, perche', valutando l'esperimento e le decisioni spagnole, decida di conseguenza.
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