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IL TOURING CLUB ITALIANO SI PROFESSA ESTRANEO A POLITICA E RELIGIONE, MA OSPITA LA PUBBLICITA' DELLA CHIESA CATTOLICA. FAREBBE ALTRETTANTO CON UN PARTITO POLITICO?
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Articolo di Annapaola Laldi
15 novembre 2000 0:00
 

Lettera aperta al Touring Club italiano 15 Novembre 2000
Spett.le Touring Club Italiano,
il 26 agosto u.s. Vi ho laconicamente comunicato le mie dimissioni dall'associazione a cui sono iscritta dal 1982.
Circa un mese dopo mi e' arrivata una cortese lettera a firma della signora Claudia Greco del Servizio Relazione Soci, nella quale mi si chiede una ulteriore riflessione ricordandomi tutte le iniziative intraprese dal Touring Club a favore dei soci e, non meno importanti, quelle per tutelare sempre di piu' e sempre meglio il patrimonio ambientale e museale italiano. Cosi' conclude la lettera: "Questa nostra filosofia associativa ci spinge dunque ad invitarLa a stare con noi. Se la Sua disdetta e' motivata da qualche episodio che non ha condiviso, me lo scriva: meglio discutere per cambiare che andarsene".
Colgo volentieri l'occasione offertami dalla collaborazione alla rubrica "La pulce nell'orecchio" del quindicinale telematico "Avvertenze" dell'Associazione per i diritti utenti e consumatori (ADUC), per verificare se e' davvero possibile aprire una discussione su un fatto a mio avviso fondamentale e che peraltro ho esposto al TCI due volte negli ultimi anni, ma che ha sempre ricevuto dalla dirigenza dell'associazione una risposta per me insoddisfacente. La prima volta, forse cinque anni fa, restai socia per verificare se, nonostante la risposta elusiva, avreste cambiato comportamento, cosa che non avvenne. La seconda volta, due anni fa, non potei far seguire le dimissioni alla risposta insoddisfacente perche' ormai avevo fatto un associazione triennale. Scadendo la quale il prossimo 31 dicembre, ho appunto annunciato le dimissioni dal TCI.

Da alcuni anni a questa parte,
il mensile dell'associazione, "Qui Touring" , viene inviato ogni mese con tutta una serie di pubblicita', fra i quali, verso la fine dell'anno, viene inserita quella della Chiesa cattolica volta ad ottenere un'offerta (deducibile dall'imposta sul reddito) per il mantenimento dei suoi preti.
Si tratta piu' o meno della stessa pubblicita' che la Chiesa cattolica fa massicciamente e capillarmente in diversi periodi dell'anno affiggendo manifesti, trasmettendo spot su radio e televisioni, pubblicando locandine su molti giornali e riviste e anche ottenendo negli uffici postali e in alcune banche uno spazio permanente per i suoi depliant, i quali ultimi sono, per cosi' dire, adattati all'ambiente: i depliant negli uffici postali portano, ad esempio, la dicitura: "Fai subito la tua offerta per il sostentamento (del clero) in questa stessa agenzia postale". La pubblicita' che si trova allegata alla rivista "Qui Touring" contiene invece una lettera che esordisce con un "Cara lettrice, caro lettore".
Cio' che non cambia e' invece il fatto che in tutti questi messaggi la Chiesa cattolica si rivolge al pubblico dando per scontato che esso sia tutto cattolico, e magari osservante e praticante. Infatti frasi quali "Mi rivolgo a te per ricordarti la piu' familiare delle presenze, quella dei sacerdoti. Non solo di quelli che tu conosci e frequenti, ma di tutti i 38.000 sacerdoti diocesani italiani...." esprimono la sicurezza che il problema del sostentamento del clero sia non un interesse di parte (cosa del tutto legittima e rispettabile), bensi' un interesse generale di tutti quanti i cittadini italiani, cosa quanto meno illusoria, e perche' no, anche lievemente arrogante.
Ma non e' l'impostazione di questa pubblicita', ovviamente, il motivo del mio disaccordo con il Touring Club italiano.

Cio' che mi ha spinto a uscire dall'associazione
e' il fatto che, secondo me, accettando la pubblicita' della Chiesa cattolica -comunque essa fosse concepita-, o anche di qualunque altra confessione religiosa o religione, il TCI contravviene all'articolo 3 del suo statuto che afferma: "Il Touring Club Italiano dovra' sempre mantenersi estraneo a qualsiasi manifestazione politica e religiosa" , cosa, questa, per me assolutamente fondamentale e irrinunciabile.
A questa contestazione, che, lo ripeto, ho fatto due volte negli ultimi anni, la dirigenza del TCI non ha mai risposto entrando nel merito, ma limitandosi semplicemente ad affermare -mi affido alla memoria, perche' non ho conservato le lettere- che l'accettazione della pubblicita' e' subordinata soltanto al fatto che essa non sia offensiva (senza spiegare peraltro quale sia il metro usato per misurare l'offensivita'). Quello che ho capito e' che il TCI consideri la pubblicita' che divulga un fatto non sostanziale, una sorta di "appendice" senza collegamento organico con la propria attivita' statutaria, questa si', e' dato di capire, soggetta al rispetto dell'articolo 3.

A me sembra che le cose non stiano cosi':
ogni atto compiuto da un'associazione (compresa quindi l'accettazione della pubblicita') implica una responsabilita' diretta di quell'associazione, ed e' quindi soggetta al rispetto pieno dello statuto, in base al quale, non dimentichiamolo, i soci aderiscono.
Nel caso in cui si accetti la pubblicita' della Chiesa cattolica, secondo me, ci si fa tramite di questa Chiesa con i soci e si trasforma implicitamente la rivista dell'associazione in veicolo di propaganda di questa confessione religiosa.

Per chiarire meglio il mio punto di vista,
questa volta voglio fare un'analogia con il campo politico, che e' l'altro ambito a cui il TCI, nello stesso art.3, dichiara la volonta' di rimanerne estraneo.
Proviamo dunque a immaginarci che cosa accadrebbe se il TCI accettasse la pubblicita' per la raccolta di fondi a favore di un'attivita' di un partito politico, o anche solo di un movimento politico. La situazione sarebbe la stessa di ora, con la pubblicita' della Chiesa cattolica: il TCI non spende una sua parola diretta a favore della questione, non pubblica cioe' un articolo sulla rivista, ne' si affianca a quel partito o movimento sul palco di un comizio, ma semplicemente allega alla rivista dell'associazione la pubblicita' in questione. Che cosa succederebbe? Ho l'impressione che, fulminea, si innescherebbe una polemica accesissima.....magari con la richiesta di operare la "par condicio"!
Ma qualcosa mi dice che non si arriverebbe mai a tanto, cioe' a ospitare la pubblicita' di un partito o movimento politico. Sbaglio se dico che chi del TCI e' preposto ad accettare la pubblicita', ne bloccherebbe subito una politica anche se non offensiva a livello del "comune senso del pudore" e di qualche altro parametro del "politicamente corretto", perche' si renderebbe conto che, ospitandola, verrebbe offesa la sensibilita' di una parte dei soci, di quelli, cioe', che non si riconoscono in quel certo partito o movimento politico (ma forse anche di quelli che ci si riconoscono, ma che, correttamente, considerano preziosa l'apoliticita' dell'associazione Touring club)?
E in tal caso e' logico pensare che appellarsi all'articolo 3 dello Statuto verrebbe spontaneo, senza contarne l'enorme utilita', se si avesse timore di urtare l'eventuale suscettibilita' di chi propone il messaggio pubblicitario.
Perche' non puo' aversi la medesima sensibilita' per cio' che attiene alla religione? Forse perche' e' la Chiesa cattolica a chiedere? Ed e' magari difficilissimo dirle di no? Oppure si pensa -come fa ostentatamente la Chiesa cattolica stessa- che in Italia, magari sotto sotto, siano tutti cattolici?
E se in futuro Vi fosse proposta la pubblicita' da parte di un'altra confessione religiosa o di un'altra religione? L'accettereste o, in tal caso, comincereste a fare dei distinguo? E perche'?
A me pare che gli interrogativi posti dall'accettazione ormai pluriennale e mai ripensata della pubblicita' della Chiesa cattolica siano parecchi e non campati in aria. Anzi, direi che sono molto delicati. E personalmente continuo a vedere leso l'art.3 dello Statuto finche' si continuera' ad accettare pubblicita' come quella a cui mi sono riferita.
Attendo comunque volentieri un riscontro a quanto ho esposto, e intanto Vi porgo i piu' cordiali saluti
 

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