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Il trucco serve a camuffare il desiderio?
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Articolo di Redazione
12 gennaio 2017 18:20
 
 Nel 1796, lo scrittore tedesco Jean-Paul sostiene che il trucco serve a nascondere le vampate di sangue che salgono sul viso delle donne impudiche. Il trucco e’ rosso come il sangue, il fuoco del desiderio e le fregole.
Succede talvolta che scrivendo in una E-mail “Je t’embrasse” (“io ti abbraccio” ), questo diviene “Je t’embrase” (“io ti infiammo”). Sempre fastidioso. Occorre inviare un messaggio di scuse per correggere il tiro.
In un’opera intitolata “Pscanalisi e pornografia”, pubblicata dalle edizioni La Musardine, lo psicanalista Eric Bidaud sottolinea che “Fuoco e viso, trovano nel linguaggio delle frequenti corrispondenze: avere le guance in fiamme, bruciare di rabbia, essere rosso di vergogna...”. Eric Bidaud aggiunge: “Il desiderio e’ ardente e attende il suo spegnimento”. E’ vero che il viso ci tradisce spesso. A differenza del sesso, intrappolato con diversi strati di tessuto, il viso e’ a vista, e sempre piu’ spesso segue le regole della prossimita’ (teoria delle distanze con la comunicazione umana). A 40 centimetri di distanza, quello che ci preoccupa salta subito agli occhi degli interlocutori. Ecco perche’ alcuni trucchi -fondo tinta, riso in polvere, cerume o farina- sono spesso comparati a delle maschere: servono come un vestito che nasconde le emozioni. Ma talvolta, questi trucchi non si accontentano di rendere il viso inespressivo e pallido. Essi lo rendono vivo, animato con delle emozioni fittizie che colorano gli zigomi e fanno diventare rosa le tempie. Questi trucchi, a tradimento, rendono visibili co’ che invece dovrebbero dissimulare.. visibile in tal modo che non si sa a cosa attaccarsi.
Nessun viso non puo’ mettersi a nudo
In un articolo dedicato al trucco del viso, Jacques Oudot -artista pittore e chirurgo- fa un elogio del trucco stesso: “Per svelare, e’ necessario prima velarsi. Il viso e’ uno spazio-frontiera dove tutto si rivela velandosi, il luogo parossistico della confidenza e del segreto, della confidenza della prudenza”. Si tratta di mettere le forme, spiega, cosi’ come una bella conversazione chiede la selezione delle parole, una bella relazione passa necessariamente dall’uso controllato del viso, in modo che nessuno “perda la faccia”. “Piu’ si vuole dire (o intendere, o lasciar correre), piu’ bisogna nascondere. E’ perche’ questo viso che tutto il mondo puo’ vedere tranne chi lo porta, che lo stesso debba essere controllato dall’interno’, da ‘fuori della scena’ e con premeditazione”. Ben consapevoli che il trucco esiste -come fattore d’armonia tra gli esseri umani-, Jacques Oudot dice che una persona che dissimula le proprie emozioni dietro la maschera delle sopracciglia o di una bocca ridisegnata, rende il suo viso “invisibile”. Piu’ precisamente, nasconde il suo viso dietro una maschera che lui controlla e quindi la utilizza come una sorta di marionetta. Grazie al trucco, l’essere umano filtra le sue emozioni e mette al sicuro la sua “riservatezza”. Sarebbe difficile esprimersi senza questo controllo facciale, questa maschera formale che impone una distanza tra l’altro e noi. Nello stesso modo, il trucco riserva delle frontiere, dei muri, delle porte simboliche. Esso protegge gli esseri umani. Questo punto di vista, sicuramente, non ha sempre dominato il pensiero occidentale.
Il trucco rende visibile quello che si suppone di nascondere. Tutto cio’ che si possiede e non si vuol far vedere, lo si nasconde.
Nel 1796, Jean Paul Richter, dice Jean-Paul (alludendo a Rousseau che lui considera come un fratello, e che chiama Jean-Baptiste), pubblica un romanzo puzzle nello stesso tempo sentimentale e satirico, che e’ probabilmente quello su cui bisogna cominciare quando ci si vuole approcciare alla sua prolifica opera, Le Jubilé (Il Giubileo). E’ uno dei suoi romanzi piu’ accessibili e piu’ divertente, condito di riflessioni strane attraverso le quali si trova cio’ che segue. E', nonostante la sua misoginia, così straordinariamente formulato che si adatta facilmente al suo puritanesimo. Ecco come inizia: “Le donne di qualita’, come il cotone, si tingono di tutti i colori, piu’ facilmente col rosso”. Strano preambolo. Le “donne di qualita’” non amerebbero il colore rosso? Partendo dal principio che il rosso rinvia ovviamente alle passioni meno degne di avere un ruolo nella buona societa’, Jean-Paul suggerisce: e’ il rosso della lussuria. Il rosso dei giochi infiammati attraverso lo stupro. E‘, soprattutto, il rosso usato dalle donne peccaminose. Tra le “donne di qualita’”, se ne trovano in effetti alcune per truccarsi… E’ quello che Jean-Paul ripropone in questi termini: “le piccole bestie che sono in loro devono cercare di coprire sotto il disegno sanguigno del fard un gioco che colora troppo facilmente il sangue della vergogna, cosi’ come un’opera di fiori dipinge le fessure della porcellana”.
Il trucco come rituale funerario
Ci sarebbe molto da dire su questo confronto tra un viso truccato ed una porcellana screpolata. Tutto cio’ che si ha e non si vuole far vedere, lo si nasconde sotto dei colori radiosi. Perche’ ci si vergogna di queste cose che tradiscono l’indicibile: la poverta’, la decadenza o quella parte di cio’ che si e’ rimosso e che la societa’ occidentale qualifica con la parola di osceno. Una vagina e’ oscena su un wc. La si trucca. Tutto cio’ che incrina le convenzioni rinvia all’idea di una vagina, di un sesso che si apre. Osceno il viso di una donna imporporata. Osceno il sudore che cala dalla fronte di un uomo politico in TV, Oscena la bocca aperta di un cadavere. Secondo Georges Didi-Huberman, la tecnica del trucco appare nello stesso momento dei primi riti funebri. Truccando un cadavere, si cerca “di esorcizzare l’orrore della sparizione di un viso sulla maschera di un morto”. L’oscenita’ e’ quindi spesso accoppiata all’orrore. In “Psicanalisi e pornografia”, Eric Bidaud afferma che l’oscenita’ e’ lo specchio al contrario dell’orrore: e’ l’orrore ritorto contro se stesso. L’equivalente di un cadavere che si guarda in uno specchio. Beffardamente. Bidaud illustra questa teoria per validare il mito di Medusa: questa Gorgona coi capelli intrecciati di serpenti pietrifica quelli che la guardano. Il suo viso uccide, perche’ esso non nasconde niente: desideri estremi, voglie tossiche, veleno di un’anima che si mette a nudo. L’oscenita’ della Medusa crea orrore in chi la guarda. Medusa avrebbe fatto meglio a truccarsi. Perseo le taglia la testa servendosi del suo scudo come fosse uno specchio. In seguito usera' la testa tagliata di Medusa come un raggio paralizzante. Il viso e’ un’arma bianca. Non truccato (fuori controllo), sprigiona affetti che sono orrori. Truccato (controllato), puo’ funzionare.
Mostrando il nostro sesso, nascondiamo il nostro viso (e reciprocamente)
Questa “relazione del sesso mostrato col viso nascosto” (o al contrario) appariva nelle prime fotografie oscene: Auguste Belloc (1800-1867) mette sistematicamente in scena, nelle sue foto licenziose, le prime del genere, il sesso di una donna spogliata che si copre il viso con un braccio. Il sesso diviene come un viso, circondato dalle acque di una sottoveste che delimita la zona del fascino e l’apparenta a queste figure strane della dea Baubo rappresentata come una donna il cui viso si trova tra le coscie. C’e’ una forma di connivenza tra il viso e l’organo genitale, insiste Eric Bidaud che cita gli innumerevoli giochi di corrispondenza, analogie, sostituzioni tra sesso e faccia, basso e alto, bello e laido. Nell’”Interpretazione del sogno” (1900) Freud faceva notare: “la trasposizione cosi’ frequente di basso in alto, che serve alla repressione sessuale e grazie alla quale nell’isteria ogni sorta di sensazioni e di intenzioni che riguardano gli organi genitali, puo' manifestarsi o meno nelle altre parti del corpo irreprensibili”. Françoise Dolto, ne “L’immagine incosciente del corpo” (nel 1984), sottolinea anch’essa che i bambini fanno delle facce buffe per spiegare il valore del loro sesso o portano delle maschere per esprimere i sentimenti di impotenza o di vergogna che provano nel sentire certe voglie… La smorfia: l’inizio del trucco?

(articolo di Agnès Giard, pubblicata sul quotidiano Libération del 11/01/2017)
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