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La ‘uberizzazione’ del mondo non e’ una fatalita’
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Articolo di Karima Delli *
8 dicembre 2016 17:01
 
Il settore dei trasporti e’ sospeso in attesa di una prossima decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea sul caso Uber. Cerchiamo di respingere subito l’evidenza: questa multinazionale presente nelle 300 piu’ grandi citta’ del mondo e valutata in piu’ di 60 miliardi di euro, non corre nessun rischio di bancarotta, qualunque sia la decisione della Corte.
Non e’ la sorte di Uber che e’ in gioco nei prossimi mesi (la sentenza e’ attesa per aprile 2017), ma quella della “uberizzazione”, cioe’ la tendenza di alcune piattaforme di servizi a farsi passare per delle imprese di economia digitale cioe’ collaborativa, nel momento in cui offrono un servizio professionale, assicurato dall’impiego massiccio di falsi indipendenti che fanno concorrenza in maniera sleale alle offerte tradizionali di trasporto.
Se i termini del dibattito possono essere posti cosi’ semplicemente, allora da cosa dipende una siffatta saga giudiziaria? La risposta e’ in una frase: la Corte si appresta a fare da arbitro per quello su cui il legislatore non ha avuto il coraggio di dire la sua. La Commissione europea si e’ rifiutata di legiferare sull’economia delle piattaforme, fatto che avrebbe permesso di distinguere quelli che rilevano delle piattaforme di servizi professionali da quelli dell’economia collaborativa e questo in tutta l’Unione Europea.
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Due visioni del mondo a confronto
Da un alto, i difensori dell’uberizzazione, che difendono un modello dove il lavoratore e’ un indipendente polivalente, capace nella stessa giornata di noleggiare i propri servizi di autista, di fattorino, di albergatore, di cuoco, secondo i momenti di picco della domanda, utilizzando ogni volta una piattaforma differente. E’ bene chiamare questo modello col proprio nome: la giungla, in cui solo i piu’ forti sopravvivono, mentre gli altri non hanno altro da fare che raccogliere.
Dall’altro lato, i partigiani di una economia digitale collaborativa, di cui i piu’ grandi campioni europei sono i francesi. Che ritengono che lo status piu’ protettivo e’ ancora il lavoro salariato, con le assicurazioni sociali di conseguenza, ma che si potrebbe aggiungere un reddito collaborativo, pianificato perche’ una persona possa avere un reddito principale e quindi il principio base riposa sulla ripartizione dei costi. E’ questa visione che io ho difeso al Parlamento europeo, quando ho lodato l’impatto positivo di alcune di queste piattaforme di carpooling (condivisione dell’automobile) per far fronte ai flussi di traffico delle nostre citta’, a cominciare dagli imbottigliamenti e l’inquinamento dell’aria.
Chi ci guadagna? Ne’ l’uno ne’ l’altro. I due modelli continuano a coesistere ma uno scenario ideale esiste perche’ ognuno abbia un guadagno da questo affare. Portiamo queste piattaforme di servizio professionale a far convergere i loro regimi fiscali e sociali con le altre imprese del loro settore economico. Sara’ un modo efficace di ristabilire l’equita’ tra i lavoratori di un medesimo settore. E di sostenere il passaggio di queste imprese, alle quali vanno riconosciuti dei meriti fondamentali: mettere insieme in modo efficace la fornitura dei serivzi dei clienti, e procurare un’attivita’ e un reddito complementare a dei giovani che fino a quel momento erano essi stessi abbandonati dalla politica e dall’economia.
Opportunita’
In quanto all’economia collaborativa, immaginiamo infine la regola che permette di conservare lo spirito collaborativo, di condividerlo, di economia e di legame sociale presente nelle persone delle nostre start-up. Aiutiamole a svilupparsi in un quadro regolamentare sano e durevole, senza rischiare di essere trascinati davanti ad un tribunale o meno come segno di successo. Io propongo di creare una soglia di reddito, unico, per tutte le piattaforme che sono mescolate all’economia collaborativa, al di la’ del quale i redditi saranno soggetti ad un’imposta sui salari. Potrebbe essere fissato a qualche migliaia di euro, per garantire ad ognuno, in misura ragionevole, di approfittare dei vantaggi dell’economia collaborativa senza fare pressione sul mondo professionale con una concorrenza sleale.
La rivoluzione digitale puo’ essere fonte di una moltitudine di opportunita’, al servizio dell’ambiente e della coesione sociale. Ma bisogna ancora anticipare i suoi sviluppi e fissare delle regole.
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* eurodeputata ecologista con incarico ai trasporti

(articolo pubblicato sul quotidiano Libération del 08/12/2016)
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