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 MONDO - MONDO - Droghe. Il rapporto di Open Society Foundations
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10 febbraio 2016 10:50
 
La coltivazione di droghe, come papavero da oppio, coca e cannabis è una fonte vitale di sicurezza economica e fisica per le comunità povere, emarginate e vulnerabili del sud del mondo. Le strategie internazionali di controllo della droga, che hanno preso di mira i coltivatori con la repressione e la violenta eradicazione delle coltura hanno provocato lo spostamento delle stesse, danni immensi agli ecosistemi e progressivamente impoverito il terreno, mentre hanno ovviamente acuito i problemi esistenti di malnutrizione e conseguentemente di salute della popolazione. Tali approcci sono dimostrati particolarmente controproducenti in contesti di conflitto, dove un nesso presunto tra i ricavi di droga e il finanziamento del terrorismo e guerriglia ha minato le prospettive di pace e stabilità.
Alla sua 20a sessione nel 1998, l’UNODC ha riconosciuto che lo sviluppo alternativo potrebbe e dovrebbe essere utilizzato per ridurre la dipendenza economica dalla coltivazione illecita, promuovendo opportunità di sostentamento nell’economia legale. In questo periodo queste strategie di sviluppo sono state implementato in alcune zone di coltivazione di droghe, evolvendosi in più interventi di sviluppo complessi. Tuttavia, invece di ridurre i volumi di droga a livello mondiale, hanno anche esse semplicemente spostato la coltivazione di droghe in nuove aree e generato cambiamento di tipi di produzione. In sintesi, stanno facendo più male che bene.
Con una ricerca che ha valutato l’esperienza di diversi paesi e regioni, il rapporto di Open Society Foundations “Drug Crop Production, Poverty, and Development” sostiene che i programmi di passaggio a coltivazioni alternative non possono avere successo in un contesto più ampio in cui è in atto la criminalizzazione dei coltivatori e della coltivazione di droghe stesse, nel quale l’uso di “metriche” UNODC inadeguate, produce una cattiva progettazione, monitoraggio e valutazione dei programmi stessi. I programmi annunciati continuano ad essere cronicamente sottofinanziati, scarsamente integrati nelle strategie di riduzione della povertà e di sviluppo e di solito sono subordinati alla previa eliminazione delle colture. Risposte efficaci devono invece riconoscere la coltivazione come un tema di sviluppo e sicurezza in ambienti complessi e fragili, con politiche nuove e basate sul riconoscimento del ruolo e del valore di queste colture in culture e contesti differenti. 

Qui il rapporto
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